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Economia
Covid, la risposta? Debito a lungo, monetizzato dalla Bce. Ecco perché

Le grandi crisi rovesciano le doxai delle epoche in cui si sono sviluppate. Durante gli anni ‘30 del Novecento ad esempio, il liberalismo economico, eredità del XIX secolo, è andato in frantumi. Negli anni ‘70 del Novecento, con la fine dei “Trenta gloriosi” e l’impennata dell’inflazione conseguente alla crisi petrolifera, anche il keynesismo è stato messo in causa da un neomonetarismo che puntava il dito contro lo Stato e l’intervento pubblico.

La crisi sanitaria che stiamo vivendo ha già fatto saltare diversi credo ben radicati in Europa: quello, diventato assurdo ormai da tempo, del patto europeo di stabilità, che rifiuta di vedere la situazione macroeconomica del paese; quello degli aiuti di Stato, che impedisce qualsiasi intervento pubblico di vasta portata nei settori chiave dell’economia; quello dell’assenza di un ruolo della moneta nella gestione degli affari pubblici, solo per citarne alcuni.

Il mondo neoliberale inventato da Margaret Thatcher e Ronald Reagan è stato ucciso dal coronavirus. Bisogna quindi ricostruirne uno nuovo. Innanzitutto rimettendo gli Stati al centro della strategia di sviluppo economico e sociale. In queste ultime settimane hanno saputo adottare le misure necessarie, concentrandosi su due leve: il finanziamento alle imprese per evitarne la chiusura, e la creazione di un quasi reddito universale tramite la disoccupazione parziale (da cui restano però esclusi i lavoratori indipendenti e i precari).

Ripercorriamo le ragioni dell’importanza dello Stato

Nessun può mettere in dubbio che i prestiti garantiti dallo Stato dovranno essere in gran parte rimborsati da quest’ultimo e il debito delle imprese dovrà essere trasformato in capitale proprio e persino annullato. Queste misure sono accolte con favore dai francesi, che restano invece diffidenti nei confronti dell’intervento pubblico in generale.

La crisi torna a mettere in evidenza l’importanza per lo Stato di adempiere ai suoi compiti fondamentali, che in questi ultimi anni sono stati trascurati: l’investimento nel sistema sanitario, che si tratti di ospedali o di cure a livello locale; l’assistenza alle persone non autosufficienti, diventata un lusso per alcuni e l’anticamera della morte per molti; l’aumento dei mezzi destinati all’istruzione pubblica e universitaria, per lottare contro la disuguaglianza; l'istituzione di un reddito universale; l’attuazione delle proposte della Convenzione civica francese per l'ambiente per lottare contro i cambiamenti climatici e non rilanciare un sistema economico incompatibile con il futuro dell’umanità.

Dove trovare i fondi? Questa domanda fa temere automaticamente una stretta budgetaria non appena la crisi sanitaria sarà conclusa. L’imposizione sarà sicuramente più necessaria di prima per garantire il funzionamento perenne dello Stato: non è a credito che quest’ultimo può garantire l’adempimento delle sue responsabilità vitali, nel campo dell’istruzione, in quello sanitario e della solidarietà nazionale e così via.

Il ruolo fondamentale della Banca centrale europea

La crisi che attraverseremo e l’emergenza climatica sollevano, tuttavia, questioni di natura totalmente diversa. Devono essere oggetto di un finanziamento specifico, che consenta allo Stato di fornire una risposta senza ridurre il proprio funzionamento e le sue capacità d'intervento. La risposta è nota: sarà la Banca centrale europea (Bce) a finanziare la crisi. Pronunciare queste parole sembra però turbare sia i suoi sostenitori, che le interpretano come un ostacolo alla sua indipendenza, sia i suoi detrattori che non smettono di opporsi alla sua politica.

Eppure il sostegno che la Bce fornisce agli Stati mostra come questa soluzione sia già stata intrapresa. Non può essere attuata in fretta e furia, in nome di argomentazioni specifiche riguardo alla corretta trasmissione delle misure di politica monetaria ma deve essere esplicitata, teorizzata e far parte di una risposta globale, fondata su una cooperazione rafforzata tra autorità monetaria e autorità di bilancio.

Un excursus storico può essere utile. La crisi degli anni ‘30 del Novecento fu il risultato di errori di politica economica che gli economisti hanno perfettamente individuato nel corso del tempo: una politica di austerità budgetaria sia in Germania che negli Stati Uniti, fino al 1933; una politica monetaria troppo restrittiva, in particolare negli Stati Uniti, dove la Fed lasciò fallire praticamente la metà delle banche commerciali ecc.

Rischio di deflazione più che ritorno dell’inflazione

Come dimostrato dall’economista e storico Barry Eichengreen, questi tragici errori erano tutti alimentati da un timore assurdo: il ritorno dell’inflazione. Traumatizzata dall’iperinflazione del 1923, la Germania attraversò la crisi con lo spauracchio di quest’ultima. Gli Stati Uniti, in misura minore ma in modo altrettanto ostinato, vollero proteggere l’ordine monetario dell’anteguerra, in nome della stabilità dei prezzi.

La tragica ironia è che questi timori di un ritorno dell’inflazione preoccuparono i governi proprio quando stavano attraversando un formidabile periodo di deflazione. Tra il 1929 e il 1932, i prezzi registrarono un calo superiore al 30%!

Ci sono buoni motivi per ritenere che, anche questa volta, il rischio di deflazione sia molto più elevato di quello inverso, ossia di un ritorno dell’inflazione, già oggetto di dibattito per alcuni. Proprio come succede in Giappone da circa trent’anni, i tassi di interesse europei sono molto bassi, addirittura troppo, e tutto fa pensare che lo resteranno ancora per molto tempo. 

Un mondo di cooperazione e di solidarietà è possibile

Oggi il debito francese a dieci anni paga un rendimento nullo e non pesa in alcun modo sulle finanze pubbliche. Bisogna però garantire che le condizioni di finanziamento attuali siano sostenibili. Da qui la nostra proposta. È necessario finanziare la crisi che stiamo attraversando e gli investimenti climatici con un debito a lunghissimo termine (da 50 a 100 anni, o persino perpetuo) e fornire una remunerazione a un tasso il più basso possibile tenuto conto della situazione attuale.

Affinché questo esercizio abbia successo, la cooperazione della Bce è decisiva. L’istituto di Francoforte deve impegnarsi ad acquistare il debito emesso in questo modo, il che rafforzerà gli Stati più colpiti dalla crisi ma anche quelli che intendono lottare contro il riscaldamento climatico. La Bce non può restare al di fuori delle grandi questioni del nostro tempo. Deve tenere conto degli imperativi attuali, nel rispetto del suo mandato volto a garantire la stabilità dell’inflazione al 2% circa. Tale mandato non viene messo in causa, anzi, sarebbe piuttosto il contrario: si tratta soprattutto di consentirle di portarlo a compimento.

Ma il modo per farlo non può prescindere dalla messa in discussione delle certezze che coltivavamo prima della crisi. Non si tratta quindi di bruciare il mondo che ci è stato tramandato, ma di rifondarlo alla luce delle esigenze che il nuovo secolo ci impone. Il mondo neoliberale è morto. Un mondo di cooperazione e solidarietà è possibile.

*Direttore del dipartimento di economia della Scuola normale superiore e presidente di Crédit Mutuel

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