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Economia
Dati choc per il Coronavirus. Economia giù. Rischio 6,4 mln di disoccupati

Ecco i numeri dell’impatto devastante che il Coronavirus avrà sul sistema economico italiano. Li abbiamo chiesti a Carlo Buttaroni, presidente dell’istituto di ricerca Tecné, sociologo e politologo

 

In tanti non sanno più di che vivere e molte imprese hanno bloccato gli ordinativi, si apprestano a chiudere. Un Paese non è un macinino del caffè che spegni per due mesi e poi riaccendi. Sta per venire giù una valanga?

“La situazione è drammatica e gli scenari sono peggiori di quelli visti nei media. Stiamo guardando solo la punta dell’iceberg. Ma nella politica e anche nell’informazione c’è ancora molta sottovalutazione”. 

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Voi di Tecné che dati avete?

“A fine febbraio, il 22 febbraio, abbiamo dato le prime stime sull’impatto economico. Sul primo trimestre abbiamo rilevato un calo che andava dal 4,3% al 5,4% con la massima probabilità del 4,8% ed è il dato che si è concretizzato. Oggi prevediamo come Pil la variazione percentuale sul 2019, nello scenario migliore, del -10,4% e nello scenario peggiore del -14,5% che corrispondono, in termine di volume, a -186 miliardi di euro nello scenario migliore e a -260 miliardi nello scenario peggiore”. 

 

In termini di posti di lavoro?

“Per le piccole e medie imprese prevediamo nello scenario migliore 1 milione di pmi a rischio di default finanziario nei prossimi 2 mesi, in quello peggiore 1 milione 700.000. Queste due cifre sono importanti perché indicano la capacità produttiva. Nel caso migliore si scende del -16%, in quello peggiore, che purtroppo è anche quello più probabile, del -27%. Questo nell’arco di 3 mesi”.

 

Che differenza c'è con la crisi del 2008?

“Nella crisi del 2008 siamo scesi del -24% in 5 anni. Oggi la nostra capacità produttiva potrebbe scendere del -27% in soli 3 mesi. La tempesta è violentissima e rapidissima. Non c’è il tempo di prendere contromisure. In termini di lavoro vengono a mancare 6,4 milioni di occupati per posti di lavoro a tempo pieno. Dal punto di vista del disagio economico 6,4 milioni di disoccupati è una situazione esplosiva. Prima dell’emergenza avevamo 8,9 milioni di individui poveri ma ora, nello scenario più probabile, dovrebbero salire a 13,7 milioni, con 4,5 milioni di persone in condizione di emergenza alimentare. Uno scenario drammatico”. 

 

Ma quelli del governo scrivono papiri, parlano di crediti di imposta (una compensazione sulle tasse da pagare all’Erario, ndr) e di debiti, non si sa su che base, da fare con le banche. Se non produco più niente e non so neanche come pagare le persone che credito di imposta dovrei applicare? 

“Appunto. Questa è una crisi anomala ma diventa sistemica nel momento in cui si ferma tutto e si bloccano domanda e offerta. Come con un motore che rischia di ingripparsi devi evitarlo immettendo dell’olio buono, in modo che gli ingranaggi continuino a girare. E’ stato fatto zero... da questo punto di vista. Ed è un errore, quasi un autogol, fare i primi annunci con provvedimenti da 2 miliardi, 3 miliardi. Anche per i mercati e per le imprese è molto negativo perché indica che non hai cognizione della gravità del problema e che cerchi di curare una malattia gravissima con dei palliativi. Ci volevano degli interventi immediati e delle misure non convenzionali. Avevamo e abbiamo bisogno di uno choc per mantenere viva la nostra capacità produttiva. Cosa che hanno fatto gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania e in misura ridotta la Francia. Se tu tieni vivo il tessuto la crisi passa e subito dopo sei in grado di recuperare. Bisognava liberare grandi masse di risorse”.

 

Draghi lo ha detto subito che se la ricetta non fosse stata questa ci saremmo inabissati in una crisi senza soluzione…

“E Draghi non è l’ultimo degli economisti e tutti sanno che bisogna agire così, spendendo bene i soldi. La Germania, ad esempio mantiene rispetto a noi inalterata o poco compromessa la sua capacità produttiva, mentre la nostra viene abbattuta a causa anche della mancanza di interventi messi in campo, la liquidità non data e il nostro tipo di tessuto imprenditoriale fatto di piccole e micro imprese. La Germania ha imprese molto più grandi. Le nostre piccole imprese non hanno una capitalizzazione tale per reggere l’urto di un choc come questo. Perdere il 27% fa sì che anche finita la crisi non ci riprenderemo in pieno. Noi rispetto alla Germania abbiamo dei tempi di recupero 4 volte più lenti”. 

 

Come si può uscire dalla situazione?

“Intanto non c’è consapevolezza della gravità della crisi. Nei documenti economici del governo non c’è. Non bisogna aver paura di chiedere di fare deficit in questo momento. E’ più rischioso per il Paese avere timore e paura, andare a piccoli passi, invece che esprimere un piano in grado di far davvero ripartire l’Italia. Ora c’è bisogno di grande liquidità e che arrivi subito. Ogni annuncio equivale a zero se non si elimina la burocrazia che c’è. Per realizzare un progetto in qualsiasi settore da noi ci vogliono anni e anni, c’èburocrazia fino a morire. Bisognava invece subito fare una moratoria sul codice degli appalti, sul patto di stabilità, invece siamo allo zero assoluto. Dobbiamo, in un mese, fare una riforma della P.A., del sistema civile, liberare tutto ciò che impaurisce gli investitori e chi vuole lavorare, penso solo alla giustizia infinita, al codice degli appalti, al numero delle autorizzazioni... Va fatta una trasformazioneradicale del nostro modello e questopresuppone competenze, cultura, autorevolezza e voglia di farlo. Ma la possibilità di uscire c’è”.

 

In soldoni mi sembra che al governo non hanno un euro e non sanno dove trovare le risorse necessarie, non sono in grado di battere davvero cassa alla Bce, all’Unione europea o di provare vie alternative sul mercato o con monete parallele, facendo deficit o altro e aspettano, aspettano solo, non si sa che cosa ma aspettano. Prendono tempo. Mi sbaglio?

“Ma così è la morte sicura. O si fanno determinate cose o lo Stato non incassa più niente perché le imprese, con questa situazione, falliranno. Non c’è una via di mezzo. Come dice Draghi non dobbiamo porre limiti al deficit e bisogna avere un piano. Abbiamo bisogno di almeno 250 miliardi ora e più tempo passa e peggio sarà. I mercati sono anche pronti a darceli ma in cambio vogliono due cose: un piano credibile, cioè che i soldi che ci danno non diventino spesa corrente ma qualcosa che tenga viva la nostra capacità produttiva e permetterci di ripagarlo in seguito, e autorevolezza.”.

 

Questo governo è in grado di dare il colpo di reni di cui lei parla?

“Se vedo quello che è stato fatto fino ad ora non posso che dire no. Mi auguro che si prenda consapevolezza che è una situazione drammatica, non rinviabile neanche di una settimana. Il nostro ammortizzatore sociale migliore sono le imprese e in una fase come questa avrei dato i soldi alle imprese per tenerle aperte piuttosto che mandare i lavoratori in cassa integrazione. Il tramite con il lavoratore non è l’Inps ma l’impresa. E non puoi mettere in cassa integrazione e bloccare i licenziamenti perché l’effetto che si produce per l’impresa, facendo entrambe le cose, è il fallimento. Non sono misure di protezioni ma una colata di cemento sul sistema”.

 

C’è qualcuno dei gruppi dirigenti attuali che vuole ed è in grado di fare quanto dice?

“Dal governo fanno le cose opposte. Come si fa anche solo a pensare di prorogare di due anni i controlli sulle imprese? Ti fa riflettere che c’è qualcosa di ossessivo compulsivo”.

 

E se la liquidità arrivasse fra 3 mesi?

“Non ci sarebbe nessuno ad accoglierla. Le imprese sarebbero già fallite”.

 

E rischieremo, buttandola nel nulla, anche di far salire inutilmente l’inflazione, certo...

“Infatti. Ma non c’è più tempo. O si agisce subito o si muore.Non mi preoccupa il calo del Pil ma quando lo recuperiamo quel calo. Se ci indebitiamo ma siamo in grado di tornare su buoni livelli economici allora ce la scampiamo. Un piano possiamo anche crearlo ma autorevolezza e credibilità, visto il quadro, ce le siamo bruciate da un bel pezzo. Ma bisogna agire”.

 

 

 

 

 

 

 

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