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Economia
Dazi americani sulla Cina verso un rinvio. I mercati ritrovano la fiducia

Basta la parola magica rinvio per far cambiare intonazione ai mercati finanziari. In vista della scadenza di domenica sull'introduzione di nuove barriere commerciali da parte degli Stati Uniti sulle merci cinesi, i negoziatori di Washington e Pechino stanno pensando di rinviare il nuovo round. Lo riferiscono secondo funzionari di entrambe le parti, mentre gli Usa continuano a contrattare per convincere Pechino a impegnarsi in enormi acquisti di prodotti agricoli statunitensi su cui l'inquilino della Casa Bianca insiste per raggiungere un accordo commerciale con la Cina e su cui gli States vogliono introdurre controlli trimestrali sulle quantità acquistate.

In Borsa gli investitori hanno immediatamente ritrovato fiducia e così a Wall Street i future sono svoltati in positivo, come gli indici dei listini i europei. Piazza Affari è la migliore e segna un rialzo dello 0,44%. Rimangono deboli le altre piazze, ma sopra i minimi della prima parte della seduta: Parigi cede lo 0,1%, Francoforte lo 0,6% e Madrid lo 0,35%. Anche Londra ha dimezzato le perdite attorno a mezzo punto percentuale. A Milano sono ben impostate le azioni delle banche, svettano le Atlantia con un progresso del 2,4% grazie alle indiscrezioni di un ingresso della Cdp.

Nei giorni scorsi funzionari di Pechino e Washington hanno segnalato che domenica non è la data finale per raggiungere la cosiddetta intesa di fase uno - anche se quella è la data fissata dal presidente Usa, Donald Trump, per aumentare le tariffe su 165 miliardi di dollari di prodotti cinesi.

Tale data potrebbe essere prorogata, come è accaduto più volte quando le due parti pensavano di essere sul punto di concludere un accordo. Le intese precedenti, tuttavia, non sono mai stati siglate e le tariffe hanno continuato a salire. Funzionari cinesi e statunitensi coinvolti nei colloqui hanno affermato che non è stata fissata una scadenza rigida. Venerdì il consigliere economico della Casa Bianca, Larry Kudlow, ha dichiarato in due apparizioni televisive che "non ci sono scadenze".

Tali osservazioni spesso riflettono le opinioni del presidente e sono state ripetute in privato da altri funzionari degli Stati Uniti. Con entrambe le parti che suggeriscono che i negoziati potrebbero essere estesi oltre il 15 dicembre, Trump stesso ha fatto avanti e indietro nelle sue osservazioni pubbliche tra la minaccia di un prolungamento della guerra commerciale e il tentativo di calmare il nervosismo degli investitori. Il consigliere della Casa Bianca, Jared Kushner, genero del presidente, è stato recentemente coinvolto nel tentativo di aiutare le due parti a raggiungere un accordo commerciale.

Al Ceo Council Meeting del Wall Street Journal ieri Kushner ha affermato che i colloqui "stanno andando in una buona direzione" e alla domanda se il presidente Trump introdurrà ulteriori tariffe il 15 dicembre ha detto di non sapere cosa deciderà di fare. I colloqui stanno proseguendo e i negoziatori di livello più basso parlano quasi tutti i giorni. Il principale ostacolo nei negoziati tra Stati Uniti e Cina è la richiesta di Washington che Pechino garantisca il proprio impegno ad acquistare più soia, pollame e altri prodotti agricoli americani.

Per gli americani gli acquisti sono il fulcro dell'accordo. Trump ha chiarito che più acquisti agricoli da parte della Cina sono la priorità assoluta per un'intesa con Pechino. Gli agricoltori americani che ne trarrebbero beneficio sono i principali sostenitori di Trump nella sua campagna per la rielezione del prossimo anno. Altre questioni al centro della guerra commerciale includono sussidi cinesi a società nazionali e pressioni sulle aziende statunitensi per trasferire tecnologia ma sono in gran parte rimandati a negoziati futuri. In particolare, i negoziatori statunitensi, guidati dal rappresentante per il Commercio, Robert Lighthizer, hanno chiesto alle loro controparti cinesi di impegnarsi in anticipo ad acquistare prodotti agricoli, secondo alcune fonti informate sui colloqui.

La parte cinese vuole legare la dimensione del proprio impegno iniziale alla portata degli sgravi tariffari che gli Stati Uniti saranno disposti a concedere immediatamente. Non è chiaro quanto gli Usa stiano facendo pressione, anche se il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, ha affermato che la Cina si era impegnata ad acquistare annualmente tra 40 e 50 miliardi di dollari l'anno entro il secondo anno dall'entrata in vigore di un accordo. Inoltre, hanno affermato le stesse fonti, gli Stati Uniti stanno spingendo la Cina a specificare nel testo dell'intesa che ci sarà una revisione trimestrale degli acquisti promessi e che l'importo di tali acquisti non diminuirà del 10% in nessun trimestre.

I negoziatori cinesi, guidati dal vice premier, Liu He, hanno respinto tale richiesta sostenendo che eventuali acquisti garantiti violerebbero le regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e causerebbero attriti tra la Cina e gli altri suoi partner commerciali. Il team di Liu ha anche cercato di ottenere dagli Stati Uniti non solo l'eliminazione dei dazi di dicembre ma anche l'allentamento delle tariffe esistenti su 360 miliardi di dollari di importazioni cinesi.

Lighthizer ha finora tenuto duro contro un abbassamento dei dazi, considerato una leva per mantenere la parte cinese impegnata in trattative su questioni chiave come i sussidi e i trasferimenti forzati di tecnologia. Altri alti funzionari hanno dichiarato di essere disposti ad eliminare l'ultimo round di tariffe su 110 miliardi di dollari di merci cinesi. "Nessuna delle parti vuole cedere per prima", ha dichiarato Myron Brilliant, il vicepresidente esecutivo della Camera di Commercio degli Stati Uniti, spiegando che "entrambi i Governi si rendono conto di dover incassare i progressi compiuti e finalizzare un accordo prima che le tensioni possano aumentare ulteriormente".

Gli Stati Uniti dovrebbero aggiungere tariffe del 15% su circa 165 miliardi di dollari di prodotti cinesi domenica a meno che le due parti non concludano un accordo o che Trump decida di sospendere tali dazi per consentire ai negoziati di continuare. Né i cinesi né molti negli Usa vogliono che tali tariffe entrino in vigore, dato che colpirebbero telefoni cellulari, laptop, giocattoli e abbigliamento.

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