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Economia
Draghi (Bce) troverà il modo di aiutare l’Italia anche dopo la fine del QE

La  penultima riunione del board della Bce si avvicina: quella di domani tuttavia, secondo Adrian Hilton, gestore obbligazionario di Columbia Threadneedle Investments, è improbabile possa rivelarsi una delle più cruciali dell’anno, visto che il quantitative easing (QE) già si sa essere destinato a terminare a fine anno, mentre per un rialzo dei tassi non se ne parlerà prima dell’autunno del prossimo anno, probabilmente nell’ultima o penultima riunione prima dell’uscita di scena di Mario Draghi, giunto a fine mandato.

Se tutto o quasi è già scritto, Draghi e i suoi colleghi potrebbero comunque fornire spunti utili per comprendere “l’evoluzione dei rischi nelle prospettive economiche della Banca centrale europea”, ossia per capire se le incertezze che negli ultimi mesi si sono accumulate, causando tra l’altro un leggero rallentamento della crescita in paesi come l’Italia, saranno tali da indurre i banchieri centrali del vecchio continente ad una maggiore prudenza o meno.

Per ora la scommessa del mercato, e anche di Hilton, è che Draghi continui a parlare di una crescita al di sopra della tendenza e di una graduale normalizzazione dell’inflazione in un contesto di limiti di capacità sempre più vincolanti (e dunque, almeno potenzialmente, forieri di ulteriori accelerazioni dei prezzi al consumo). Ma, ammette l’esperto, ci sono alcune nubi all’orizzonte: “l’attività quest’anno, soprattutto quando dipendente dalla domanda estera, è stata deludente, mentre l’inflazione core ha faticato a superare l’1%”.

Non solo: “le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina continuano ad aumentare e l’allargamento degli spread dei titoli italiani (rispetto ai rendimenti “core”) presenta un rischio di contagio per le banche nazionali e anche più in generale”. Sarà dunque importante osservare “se la Bce rimarrà fiduciosa abbastanza da continuare a descrivere i rischi per la crescita come “equilibrati” o meno”. E’ utile ricordare che nel board della Bce siedono i rappresentanti dei vari paesi membri, dunque è per eccellenza luogo di mediazione per eccellenza di interessi divergenti (essendo divergenti, ancora, le singole economie nazionali).

Essendo praticamente impossibile una estensione ulteriore del QE ed essendo difficile che venga procastinato di oltre 10-12 mesi il primo rialzo dei tassi ufficiali europei, se non altro perché la Federal Reserve, nonostante i “desiderata” di Donald Trump, apre intenzionata a proseguire nei suoi graduali rialzi dei tassi sul dollaro, ci si chiede se e come Draghi potrà prolungare il “soccorso” al Tesoro nel caso lo spread tra tassi italiani e tassi “core” europei resti ai livelli attuali o superiori.

Una prima risposta potrebbe venire già domani: per Columbia Threadneedle Investments, infatti, il board della Bce potrebbe fornire ulteriori dettagli sui suoi piani per reinvestire i proventi delle attività in scadenza acquistate nell’ambito del QE, in particolare segnalando se sarà consentita una certa flessibilità per estendere la durata degli acquisti così da arginare l’aumento dei rendimenti a lungo termine, ove necessario. Avendo la Bce acquistato nel corso del QE oltre 2.600 miliardi di euro di titoli (sfioreranno i 2.700 miliardi a fine dicembre) di cui oltre 410 miliardi costituiti da titoli di stato italiani, vi sono infatti due opzioni a disposizione dei banchieri centrali europei.

Dal 2019 potranno lasciare semplicemente che i titoli in portafoglio scadano e vengano rimborsati, così facendo però mettendo ulteriormente sotto pressione i rendimenti a lungo termine europei e in particolare italiani, oppure potranno reinvestire i titoli in tutto o in parte, come ha già fatto la Fed, riducendo gradualmente l’attivo di bilancio tenendo conto delle esigenze che si manifesteranno sia sul fronte macro sia sui mercati. Ovviamente questa seconda ipotesi richiede un sostanziale accordo politico a monte, il che potrebbe anche spiegare come mai il premier Giuseppe Conte sia apparso ancora ieri, nonostante la (seconda) bocciatura della manovra di bilancio 2019 italiana da parte della Commissione Ue relativamente fiducioso che una mediazione potrà essere raggiunta.

Mediazione che coinvolgerebbe, a questo punto, la stessa Bce, dove negli ultimi mesi del suo mandato Mario Draghi, il più politico di tutti i banchieri centrali del vecchio continente, potrebbe sfruttare al massimo il suo margine di manovra per dare tempo a Roma di mettere in campo le prime misure “pro crescita” limitando gli scossoni per i titoli di stato italiani sul mercato. In cambio di cosa? Ad esempio di un impegno ad avviare con una maggiore gradualità le misure stesse e di verificare, magari su base trimestrale, l’effettivo andamento dei conti pubblici rispetto alle stime.

Un accordo che potrebbe apparire vantaggioso anche agli altri partner europei, perché di fatto eviterebbe uno scontro frontale tra Roma e Bruxelles riducendo al contempo il “rischio contagio” grazie ad una sorta di auto-commissariamento del Bel Paese. Se non intervenissero ulteriori esogene negative (Usa e Cina, ad esempio, potrebbe trovare il modo di evitare una guerra commerciale una volta che saranno superate le elezioni di mid-term del 6 novembre prossimo) e se la manovra italiana avrà nel concreto successo, pur con qualche piccola correzione in corso d’opera, oltre all’Italia sarebbe l’Europa stessa a giovarsene, sfilando un possibile argomento di propaganda ai movimenti populisti di tutto il vecchio continente.

 

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