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Economia
Il Fatto, Travaglio va in Borsa. Addio all'editoria di relazione
Foto: LaPresse

L'editoria torna protagonista in Borsa. Giovedì il suono della campanella di Piazza Affari darà il benvenuto all'azione di Seif, la società che edita il Fatto Quotidiano interamente controllata da giornalisti e che partirà nelle negoziazioni di Borsa a un prezzo di 0,72 euro per titolo. Sembra lontano il piccolo mondo antico dell’editoria italiana, dominato ormai da decenni da alcune grandi famiglie industriali come gli Agnelli (La Stampa, il Corriere della Sera), i De Benedetti (La Repubblica), Francesco Gaetano Caltagirone (ll Messaggero, Il Mattino). Un mondo dove la logica che portava a controllare un gruppo editoriale non era legata esclusivamente ai risultati economici che questo poteva garantire, quanto all’influenza mediatica e pertanto “lobbistico-politica” che era in grado di procurare.

Padellaro Travaglio doppia ape

 


 

Un connubio, quello tra i “poteri forti” dell’industria italiana e della politica, che non era del resto esclusiva del settore pubblico, anzi: già agli inizi degli anni ’60 l’Eni di Enrico Mattei deteneva il 49% de Il Giorno (un altro 49% era di proprietà dell’Iri, cui l’Eni faceva capo, mentre il restante 2% era direttamente in mano al Ministero delle partecipazioni statali). Questo mondo è se non tramontato rapidamente in via di dissoluzione e trasformazione: gli Agnelli hanno preferito conferire le attività editoriali fino a quel momento facenti capo a Itedi (a sua volta controllata da Fiat Chrysler Automobiles) al gruppo De Benedetti, dando vita a Gedi (che oggi controlla La Stampa, La Repubblica e Il Secolo XIX) e concentrandosi piuttosto sull'editoria internazionale: Exor è il principale azionista dell'Economist (Fca ormai ha sede in Olanda e il cuore pulsante ad Auburn Hills, Detroit in Michigan).

Mauro De Benedetti Napolitano
 

I De Benedetti, che hanno appena accorciato la catena societaria di famiglia incorporando Cir in Cofide, non sembrano più così attaccati al business editoriale (il focus essendo ormai sui servizi socio-sanitari di Kos, che rappresentano da soli circa la metà del valore del patrimonio netto di Cofide) e comunque stentano a trovare la ricetta per ripartire, con un 2018 chiuso con un fatturato in crescita (da 615,8 a 648,7 milioni) ma anche un Ebitda rettificato in calo (da 57,4 a 51,7 milioni) e attività multimediali, sul quale il gruppo sta puntando come altri editori tradizionali, che pur crescendo rappresentano ancora solo poco più del 12% dei ricavi complessivi con poco più di 113 mila abbonati.

piersilvio marina berlusconi
 

Pronti a passare la mano sembrano poi i Berlusconi: l'ex Cavaliere ha ceduto di recente il settimanale Panorama a Maurizio Belpietro (giornalista trasformatosi in editore col lancio di La Verità) ed ha detto addio, sempre con Mondadori, al mercato editoriale francese, Paolo potrebbe cedere Il Giornale (quotidiano che controlla col 58% del capitale e che è partecipato anche dalla Mondadori col 36%) al direttore Vittorio Feltri.

Lo stesso Francesco Gaetano Caltagirone, che di professione fa l'immobiliarista con la passione per la finanza in Borsa, sembra ormai aver perso la passione di un tempo tanto da aver iniziato a sondare il mercato, secondo indiscrezioni circolate lo scorso settembre, per quanto riguarda una possibile cessione del quotidiano napoletano Il Mattino.

francesco gaetano caltagirone
 

Così l’ultimo erede del piccolo mondo antico sembrerebbe essere Urbano Cairo, “l’uomo nuovo” che ha scardinato il salotto buono di Rcs con l’aiuto di Intesa Sanpaolo e del suo nume tutelare Giovanni Bazoli, che nel 2016 sentenziò “il vecchio establishment non è replicabile”, riferendosi agli ex soci “forti” di Via Rizzoli rimasti per mesi inerti di fronte alla sempre più evidente necessità di ricapitalizzazione del gruppo editoriale. Da notare che Cairo, già patron di La7, pur essendo diventato il dominus assoluto dell’ex gruppo Rizzoli col 60% circa del capitale, ancora vede tra i soci i vecchi potentati della City milanese come Mediobanca (col 9,93%), col 7,6% Diego Della Valle e con poco meno del 4,9% Unipol, oltre a China National Chemical Corporation (controllante di Pirelli) col 4,7%.

urbano cairo
 

Vale a dire proprio il nocciolo di “pattisti” che aveva provato a sostenere la contro-Opa di Andrea Bonomi per sbarrare la strada all'editore puro piemontese.

Alberto Nagel, numero uno di Mediobanca, persa la battaglia, aveva poi dichiarato: “In Rcs abbiamo una partecipazione piccola, di 20 milioni di euro. Aspettiamo che vada sopra il valore di carico di 1,2 euro”, poi avrebbe potuto essere ceduta (è inserita fra le partecipazioni available for sale, disponibile cioè alla vendita).

Ma Rcs è ormai vicino agli 1,5 euro per azione e Piazzetta Cuccia e i suoi alleati sono ancora nel capitale, segno che l’opera intrapresa da Urbano Cairo non dispiace (con tutte le intangibili conseguenze del caso) neppure ai vecchi soci. Nel frattempo, però, Cairo ha sostituito alla direzione di 7, l’allegato settimanale del Corriere della Sera, Beppe Severgnini, “penna” di punta di Via Solferino ma anche tra i pochi italiani partecipanti alle riunioni del Gruppo Bildeberg (assieme a Lilli Gruber, volto noto di La7 che spesso ospita lo stesso Severgnini a Otto e Mezzo) con Barbara Stefanelli.

feltri belpietro ape 2
 

Se il piccolo mondo antico è in via di dissoluzione e trasformazione, dovendo cercare di recuperare il ritardo acccumulato sul fronte delle attività digitali, è perché non solo il modello di business “tradizionale” non riesce a dare più risultati (come ricavi diffusionali), ma anche perché l’editoria espressione del capitalismo di relazione italiana, quello in base al quale la (ri)nomina nel 2009 di Ferruccio de Bortoli alla direzione del Corriere della Sera poteva essere sancita da una stretta di mano tra l’immobiliarista Salvatore Ligresti (allora azionista forte di UniCredit) e  il banchiere presidente di Mediobanca Cesare Geronzi, non funziona più: non riesce a intercettare e influenzare più come un tempo l’opinione pubblica, viene disintermediata dalle forze “anti sistema” al governo come M5S e Lega che utilizzano sempre più i social media per parlare ai loro elettori e sempre meno i grandi quotidiani e settimanali cartacei.

Directa intermedia oltre 21 miliardi di euro nel 2016
 

A quel mondo non resta dunque che cercare di proteggersi da una “disruption”, accellerata dall'avvento dell'online, sempre più evidente, con una battaglia di retroguardia che rischia di essere persa se il Salvimaio abolirà del tutto i contributi pubblici all’editoria, o seguire la strada dei “nuovi editori” che in questi anni hanno lanciato testate come La Verità di Belpietro, La Notizia di Gaetano Pedullà o Il Fatto Quotidiano, domani negoziato in borsa, tra i pochi se non l’unico in grado di limitare i danni della costante erosione delle vendite in edicola di quest’ultimo decennio e pronto a trasformarsi in un hub di creazione di contenuti multimediali per la web-tv tramite la piattaforma Loft.

Nuovi editori “puri” in grado di utilizzare un nuovo linguaggio e trovare un nuovo pubblico anche utilizzando (in modo innovativo) il vecchio supporto cartaceo, che coi “vecchi editori impuri” hanno poco o nulla in comune e forse per questo possono avere una chance anche nell’epoca del web e dei socialmedia.

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