Cambio euro-dollaro, la parità entro fine anno. E le aziende Usa soffrono
Le incerte evoluzioni della trattativa tra la Grecia e i suoi creditori spingono stamattina l'euro a un'ennesima apertura al ribasso nei confronti del dollaro sotto quota 1,06.
Ormai, insomma, il rafforzamento della divisa Usa è un dato scontato, tanto che, complice anche la convinzione che la Fed tornerà presto ad aumentare i tassi di interesse (dopo la riunione del 6 e 17 giugno, come detto del presidente della Fed di Richmond, Jeffrey Lacker), il biglietto verde è ormai a un soffio dal livello più alto mai raggiunto dall'inizio del 2003.
Insomma, tra rialzo dei tassi Usa, il Qe targato Bce e lo spauracchio Grexit (l'uscita di Atene dall'euro), gli uffici studi delle maggiori banche d'affari mondiali sono ormai praticamente unanimi nel prevedere che entro fine 2015 vedremo il cambio tra la valuta americana e quella europea portarsi sulla parità.
Goldman Sachs, per fare qualche esempio, prevede un cambio di 0,80 da qui al 2017 e il raggiungimento della parità entro settembre, mentre secondo Deutsche Bank si arriverà a 0,85 entro 2 anni.
Non solo. La maggior parte degli economisti è convinta che l'ascesa del dollaro sia dovuta, e quindi sostenuta, anche a ragioni più strutturali legate alla forte ripresa degli Stati Uniti e alla sua posizione di leader nella produzione di risorse naturali.
Il tutto però ha un risvolto negativo. I mali del dollaro crescente sui profitti delle multinazionali americane sono infatti già reali. Mentre è iniziata la pubblicazione dei risultati del primo trimestre, gli analisti fanno infatti sapere di aspettarsi, per la prima volta dal terzo trimestre del 2009, un calo degli utili delle maggiori società quotate.