L'evasione? E' un correttivo dell’eccessiva pressione fiscale - Affaritaliani.it

Economia

L'evasione? E' un correttivo dell’eccessiva pressione fiscale


Di Gianni Pardo

Dal punto di vista giuridico è reato qualunque cosa la legge dichiari tale. In Iran l’omosessualità è un reato punito con la morte. Anche il contrabbando è un reato, se la legge così stabilisce. Ma per ambedue le fattispecie ci si può chiedere: che male fanno? E a chi?

Se un Paese è capace di fabbricare una merce a buon prezzo, e anche un altro Paese la fabbrica, ma la sua è più cara, è naturale che il secondo la compri del primo e gli venda ciò che è capace di fabbricare meglio. È la scoperta dell’acqua calda: si chiama “utilità dello scambio”. Il contrabbando invece nasce dalla volontà dello Stato di proteggere le imprese nazionali dalle imprese straniere, capaci di vendere gli stessi prodotti ad un prezzo più basso (protezionismo). A questo scopo si impone alla frontiera un pedaggio che (almeno) parifichi il costo della merce straniera al costo dell’analoga merce nazionale.

Questa “protezione” ha tuttavia, come conseguenza, una ingiustificata perdita di potere d’acquisto dei consumatori. Se essi devono comprare a cento euro una merce nazionale, mentre avrebbero potuto avere quella straniera a ottanta, i venti euro di differenza costituiscono uno spreco di ricchezza. Con essi infatti avrebbero comprato altro, con ciò favorendo un’altra industria nazionale e i suoi addetti. Il protezionismo è una pessima idea, e infatti all’interno dell’Unione Europea è stato abolito.

Evidentemente non si può fare lo stesso ragionamento a proposito dell’evasione fiscale. Non soltanto, perché lo Stato deve essere finanziato, ma perché se le tasse non sono eccessive e tutti le pagano, il fisco non è un elemento distorsivo né all’interno del Paese (perché non ci sono evasori) né nei rapporti con gli altri Paesi (perché anch’essi impongono tasse).

Se invece si ha un’eccessiva pressione tributaria – sembra che in Italia si arrivi all’80% sui profitti industriali – le conseguenze distorsive sono enormi. Le imprese, per legittima difesa, cercano disperatamente di eludere il fisco e per cominciare non dichiarano profitti (frustrando l’avidità dello Stato). Poi fanno anche spese inutili, perché pensano che ciò che non spendono sarà sequestrato. Nel frattempo se hanno bisogno di un prestito le banche non gli faranno credito perché, per i loro standard, quelle imprese "non fanno profitti”. Infine, con la prospettiva di guadagnare cinque volte tanto (20%+80%), chi può evadere evade, quali che siano i rischi. Una tassazione di rapina è un incentivo alla violazione delle leggi, un freno alla produzione e un fattore di povertà nazionale. In sostanza, una forma di imbecillità. La pecora va tosata, non ammazzata.

È vero che l’economia in nero” – cioè quella produzione che evade totalmente il fisco - arricchisce alcuni disonesti che potrebbero pagare le tasse, a scapito di chi rimane nella legalità. Ma in molti casi permette di sopravvivere a produttori che, osservando le regole del fisco, chiuderebbero bottega domani mattina e smetterebbero di produrre ricchezza. Inoltre l’artigiano che non si sogna di rilasciare fattura offre ai consumatori, come il contrabbandiere, un vantaggio economico. Lo spazio per questa illegalità lo crea un fisco esoso, pertanto l’ideale non è stangare l’operatore in nero, e impedirgli di lavorare: l’ideale è chiedergli il 20% dei suoi utili, in modo che contribuisca alle spese di uno Stato che cura anche lui, se finisce in ospedale. Viceversa, se gli si rende impossibile il lavoro, si restaura la legalità ma quel cittadino vivrà interamente a spese della comunità nazionale.

Ecco perché si può sorridere, quando il Presidente della Repubblica parla di recuperare circa 122 miliardi di euro dall’evasione fiscale, come se quel denaro fosse soltanto da andare a prendere. In realtà, a parte l’aleatorietà di certe stime, se il fisco potesse stanare tutti gli evasori il gettito fiscale non sarebbe affatto quello sperato, sia per la contrazione dell’economia, sia perché anche gli evasori, finché producono, spendono e pagano involontariamente imposte indirette. Nel frattempo, cessando la maggior parte delle attività in nero, i consumatori avrebbero meno da spendere e ciò impoverirebbe il Paese.

Dal punto di vista strettamente economico, il “nero” è paradossalmente un correttivo dell’eccessiva pressione fiscale. La repressione di questo illecito rimane un dovere di giustizia nei confronti di coloro che pagano tutto il dovuto ma, se si vuole un Paese più prospero, non è questa la soluzione del problema. È necessaria un drastico taglio delle spese dello Stato (anche riducendo le sue prestazioni) e una drastica riduzione delle imposte, in modo che tutti non soltanto debbano ma possano pagarle. Chi deve pagare il 20/30% di imposte non pensa ad evadere, perché non vale la pena di correre rischi.

L’idea che la produzione sia un dato fisso - quale che possa essere il regime fiscale – come sembra credere il Presidente della Repubblica, è un’ingenuità.

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