Economia
Ex Ilva nel caos, parla Bonanni (ex Cisl): "No alla nazionalizzazione. Se non salviamo Taranto, finiremo solo a fare panettoni e turismo"
Scontro con i sindacati, migliaia di operai in cassa integrazione e nuovi investitori in campo. Raffaele Bonanni accusa governi e partiti di aver gestito l’ex Ilva in modo irresponsabile

Ex Ilva, vertice senza accordo. Bonanni (ex Cisl): "Serve visione chiara, no alla nazionalizzazione"
Vertice ad alta tensione ieri a Palazzo Chigi sull’ex Ilva. Governo e sindacati restano distanti, e il futuro dell’acciaieria di Taranto continua a essere un rebus. Le proposte dell’esecutivo sono state giudicate "inaccettabili" da Fiom, Fim, Uilm e Usb. Il ministro Urso ha confermato l’aumento della cassa integrazione straordinaria: 5.700 operai da dicembre, che diventeranno 6.000 dal 2026. Intanto, sul tavolo spunta un misterioso quarto operatore estero interessato all’impianto, accanto ai nomi già noti di Bedrock e Flacks.
"Questa situazione non si può affrontare pezzetto per pezzetto. Bisogna riprendere la questione in termini chiari: l’Ilva ha una storia e un peso enormi". Così Raffaele Bonanni, ex segretario generale della Cisl, spiega ad Affaritaliani.it come, negli ultimi anni, "tutti i soggetti pubblici abbiano gestito la partita in modo irresponsabile, piegandola a logiche elettorali.
Si sono comportati come in nessun altro Paese – sottolinea – e parliamo della più importante azienda siderurgica d’Europa, storicamente strategica sia per l’acciaio sia per l’energia". Bonanni ricorda inoltre che “si tratta di un’impresa collocata nel Mezzogiorno, con un’enorme valenza sociale ed economica, e non si può continuare a discuterne solo in termini di nuovi investitori, come si è fatto finora".
Secondo l’ex segretario, alla fine di questa confusione "non resterà che chiedere la nazionalizzazione", ma si tratterebbe, avverte, "dell’errore più grave possibile". "Dopo due o tre anni saremmo peggio di prima, con altri soldi sprecati", aggiunge ancora.
"Siamo di nuovo al punto di partenza. Questa storia riguarda il governo e anche l’opposizione, perché in gioco ci sono migliaia di lavoratori. Immaginiamo un’Italia senza un’azienda che produce acciaio: saremmo costretti a importarlo, con costi più alti per tutta la metalmeccanica".
E spiega: "Abbiamo già commesso errori gravissimi rinunciando al nucleare. Se ora aumentiamo anche i costi dell’acciaio, facciamo 'bingo nero', ovvero un ritorno indietro tale da non potersi più rialzare". Serve, dice, una visione d’insieme: "Non ha senso che ogni soggetto giochi per conto proprio. E parlare di nazionalizzazione, oltre a essere inefficace, non sarebbe neppure possibile per le regole europee sulla concorrenza".
L’ex segretario richiama il governo alla chiarezza: "Benissimo mantenere il dialogo con i sindacati, ma ora serve un chiarimento da parte di Giorgia Meloni. Vediamo se, una volta tanto, la politica italiana saprà essere adulta. Perché — diciamolo — ci sono stati enormi errori sia a sinistra che a destra".
"Da come si risolverà la vicenda Ilva si capirà anche che cosa vogliono fare sull’energia. Si parla di trivelle, gas, nucleare, ma mancano decisioni vere". E incalza: "Si è fatta troppa demagogia, anche ai tempi della Mittal. L’Ilva può diventare una nave scuola per tutte le future vicende industriali italiane. Perché se non sappiamo risolvere un problema così centrale, allora ci ridurremo a fare solo panettoni, parmigiano e turismo. Tutte cose importanti, certo, ma non bastano a un Paese che è ancora la seconda potenza industriale d’Europa".
L’ex segretario aggiunge inoltre che non è scontato che i possibili acquirenti vorranno correre rischi senza tutele economiche. "Non tutti saranno disposti a farlo. E quelli che lo sono, vengono qua e ti dicono: 'Benissimo, ma mi devi dare pure dei soldi'. Perché lo dicono? Perché, siccome vanno incontro a difficoltà, non vogliono rimetterci.
Invece deve venire qualcuno che sappia di potersi assumere un accordo molto ampio, che si deve fare nel Paese. Non lo può fare il signor Urso: lo deve fare il Paese, lo deve fare il suo governo. Lo Stato ci deve stare finché chi entra ha la garanzia di non essere lasciato allo sbando".
Entra poi nel merito del problema energetico. "Se uno produce in Spagna paga la metà del gas rispetto a qui. Ora, se si vuole decarbonizzare, benissimo: si segua l’accordo. E Io so che irriterò qualche ambientalista, però questo è il momento peggiore per chiudere il forno a carbone. Non dico che dobbiamo dare carta bianca, ma si prenda il modello francese, quello tedesco, o quello di chiunque, ma non quello italiano, dove ognuno mette becco senza sapere su che cosa e perché, e lo strumentalizza politicamente.
Bonanni spiega ancora: "Il sindacato, secondo me, deve avere pazienza; deve tutelare davvero il lavoratore, ma non solo guardando la valle: bisogna guardare il monte e la valle insieme". E conclude: "È meglio lavorare che stare in cassa integrazione, ed è anche chiaro che la gente è preoccupata perché non vede una via d’uscita, e lo capisco. Questo dipende dalla misura della consapevolezza del governo e delle forze politiche, perché a quel punto il discorso diventa trasparente e chiaro. Le indicazioni che si daranno saranno così forti che si potranno anche chiedere sacrifici.
È come quando si robotizzò la Fiat: si dovette ricorrere alla cassa integrazione perché bisognava rimodulare il modo di lavorare. Però serve un disegno chiaro, un disegno vero. Non si può avere la moglie ubriaca e la botte piena".
