Puma, Adidas e la sua controllata americana Reebok. Ma anche Ford, Clorox Denny e Microsoft. Cresce esponenzialmente la lista dei grandi marchi (e inserzionisti) di Facebook che hanno voltato le spalle al social network, accusato di non fare abbastanza per limitare i post razzisti e il cosiddetto "hate speech", ovvero i commenti che alimentano l'odio e la discriminazione.
Un “cigno nero” per il social network fondato da Mark Zuckerberg che rischia di minare il business model di Facebook interamente basato (per il 99% delle entrate) sui budget pubblicitari delle Big Corp. Al già nutrito gruppo di aziende che hanno sospeso la pubblicità sul social network (Starbucks, Verizon, Unilever, Coca-Cola, Patagonia, Levis, Hellman’s, Ben & Jerry’s e Unilever, tanto per citarne alcuni, ma sono già quasi 200) si sono aggiunte oggi anche Puma, Adidas e Reebok.
"Razzismo, discriminazione e hate speech non devono avere posto nella nostra azienda ne' nella nostra società", ha fatto sapere Adidas. Sulla stessa linea anche la rivale Puma: "E' essenziale che tutti i nostri partner difendano i nostri valori fondamentali e si oppongano a odio e discriminazione", ha detto. Ieri, Ford ha annunciato che blocchera' le inserizioni sui propri social network nazionali per 30 giorni, avviando una revisione delle spesa pubblicitaria legata a tali siti. Lo stesso vale per Clorox, societa' produttrice di detersivi e detergenti, che sospendera' i propri annunci su Facebook e Instagram fino a dicembre. E anche Microsoft, secondo quanto riferito da un portavoce della societa', sospendera' la propria pubblicita' su Facebook e Instagram.
Inoltre, secondo la World Federation of Advisers, associazione che rappresenta aziende che coprono il 90% della spesa mondiale in pubblicita', quasi un terzo dei brand globali sospendera' le inserzioni sui social network, compresi Facebook, Twitter e Snapchat, o sarebbe pronta a farlo. Un ulteriore 41% non ha ancora preso una decisione in proposito.
"E' un punto di svolta, l'impatto avra' un impatto ancora piu' duraturo della campagna #StopHateForProfit inizialmente lanciata contro la sola Facebook", ha detto al Financial Times Stephan Loerke, numero uno della Wfa, spiegando che "la discussione si e' spostata, non e' piu' solo un fenomeno mediatico, ma e' arrivata sul tavolo dei vertici delle aziende".
Non e' ancora chiaro se il boicottaggio avra' significative ripercussioni sul business di Facebook, che al momento detiene la seconda piu' ampia fetta del mercato pubblicitario statunitense con 8 milioni di inserzionisti sulle piattaforme, secondo quanto riferito dalla chief operating officer della societa', Sheryl Sandberg, ad aprile. Ma il celebre social network ha previsto di intascare quest’anno 77 miliardi di dollari di advertising destinata al digitale rispetto ai 70 del 2019, 31,4 miliardi solo negli Stati Uniti.
Secondo l'azienda di ricerca Mkm Partners sono piu' di 240 a oggi le societa', le organizzazioni e le persone che hanno preso parte alla campagna che recita l'hashtag #StopHateForProfit. Di recente Facebook e' finita nel mirino di diversi gruppi americani che si battono per i diritti civili, tra cui la National Association for the Advancement of Colored People (Naacp), che stanno facendo leva sui grandi inserzionisti affinche' sospendano gli investimenti pubblicitari nel social network come forma di protesta per quella che ritengono un'incapacita' da parte dell'azienda di rendere la piattaforma un posto meno ostile.
Da parte sua Facebook ha replicato sostenendo che la societa' investe miliardi di dollari ogni anno per garantire la sicurezza, lavorando costantemente con esperti esterni per rivedere e aggiornare le proprie politiche. Nello specifico il social network ha rimosso 250 organizzazioni suprematiste bianche da Facebook e Instagram, ha spiegato un portavoce, precisando che grazie all'intelligenza artificiale la societa' e' in grado di individuare il 90% dei contenuti di incitamento all'odio prima ancora che gli utenti arrivino a segnalarlo.
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