Fed in crisi di credibilità e Bce rafforzata (ma sempre in allerta): lo strano dualismo che ridisegna i mercati - Affaritaliani.it

Economia

Ultimo aggiornamento: 16:44

Fed in crisi di credibilità e Bce rafforzata (ma sempre in allerta): lo strano dualismo che ridisegna i mercati

Con entrambe le banche centrali attese ferme a luglio e con probabilità quasi identiche attribuite dai mercati a un taglio dei tassi a settembre, il messaggio è chiaro: serve maggiore chiarezza

a cura di Kevin Thozet, membro dell’Investment Committee di Carmignac

Fed e Bce, lo strano dualismo che ridisegna i mercati. L'analisi di Kevin Thozet, membro dell’Investment Committee di Carmignac

Nonostante contesti economici differenti sulle due sponde dell’Atlantico, la Banca Centrale Europea (BCE) e la Federal Reserve statunitense (FED) sembrano muoversi all’unisono. Almeno per ora.

Con entrambe le banche centrali attese ferme a luglio e con probabilità quasi identiche attribuite dai mercati a un taglio dei tassi a settembre, il messaggio delle autorità monetarie è chiaro: serve maggiore chiarezza. Questa posizione prudente è dettata dalla doppia incertezza legata ai cambiamenti nelle dinamiche commerciali e all’evoluzione del sostegno fiscale — fattori che pesano fortemente su inflazione, crescita e traiettorie valutarie.

Bce, nessun senso di urgenza (per ora)

Nel corso dell’ultimo anno, la BCE ha ridotto i tassi d’interesse di riferimento di 200 punti base, portandoli in quella che molti considerano una fascia neutrale — tra l’1,75% e il 2,25%. Il contesto monetario dell’area euro appare quindi in un equilibrio delicato: né troppo espansivo, né troppo restrittivo. Tuttavia, questa tranquillità potrebbe durare poco. Due grandi incertezze tengono la BCE in allerta.

Primo, la possibile imposizione di dazi tra Stati Uniti e Unione Europea (con dettagli cruciali attesi per il 1° agosto) ha comprensibilmente reso i responsabili di politica monetaria più cauti. Secondo, sebbene il pacchetto di stimoli fiscali annunciato in Germania (la cui approvazione formale è prevista per settembre) offra segnali iniziali incoraggianti, la volontà politica si scontra con i limiti operativi. Entrambi i fattori sollevano interrogativi su quanto a lungo l’inflazione continuerà a restare sotto le attese nel continente.

Con ragioni sufficienti per interrompere il ciclo di tagli e dati recenti poco indicativi su crescita e inflazione, è improbabile che a luglio si opti per i cosiddetti “tagli precauzionali”. I tassi dovrebbero quindi restare invariati.

Guardando a settembre, i mercati attualmente prezzano una probabilità del 50% di un taglio dei tassi. Tuttavia, l’effetto combinato di un euro più forte – che tende a frenare crescita e inflazione – del rallentamento nella crescita salariale e del rischio persistente di un’inflazione inferiore alle attese, alimentato dall’aumento delle importazioni cinesi a basso costo dirottate dagli Stati Uniti, potrebbe spostare l’equilibrio. Con un’inflazione headline prossima al target e leading indicator che puntano a una normalizzazione economica in atto, riteniamo che la probabilità di un taglio a settembre sia superiore rispetto all’attuale consensus dei mercati.

La BCE potrebbe portare il tasso di riferimento intorno all’1,5%, soprattutto se le incertezze legate ai dazi si risolvessero in modo sfavorevole o se l’inflazione dovesse restare al di sotto del target.

Fed: l’equilibrismo di Powell tra tassi d’interesse e politica

Anche la Fed si trova a dover navigare in un contesto incerto, seppur per ragioni molto diverse. Sul fronte della politica economica, i fondamentali macroeconomici degli Stati Uniti restano solidi. L’occupazione si mantiene robusta, anche se in buona parte grazie a una riduzione dell’offerta di lavoro dovuta a vincoli sull’immigrazione. I consumi restano sostenuti. E la politica fiscale continua a sostenere un’economia che cresce oltre il proprio potenziale da più di quattro anni consecutivi.

Ma sul piano politico, il quadro è meno stabile. L’indipendenza della Fed è sotto pressione, con il presidente Trump che critica apertamente il presidente della FED.

Stretto tra falchi e muri

La Fed non si aspetta un ritorno dell’inflazione al target del 2% prima del 2027 — un ritardo di sei anni. E i dati più recenti sull’inflazione non sono particolarmente rassicuranti. Si cominciano a intravedere segnali di trasferimento dei costi d’importazione dovuti ai dazi. L’inflazione dei beni primari è già leggermente aumentata, e il modello FIFO (First In, First Out) – prevalente tra i rivenditori statunitensi – suggerisce che l’effetto potrebbe intensificarsi una volta che i dazi verranno applicati in modo più esteso.

Jerome Powell è sottoposto a pressioni politiche sempre più intense, ma qualsiasi speculazione su una sua sostituzione andrebbe presa con cautela. Il presidente Trump avrebbe poco da guadagnare da un rimpasto della leadership della Fed a soli sei mesi dalla fine del mandato di Powell. I rischi per la credibilità dell’istituzione — e quindi per il dollaro, le aspettative d’inflazione e i rendimenti a lungo termine — sarebbero troppo elevati. Proprio la credibilità della Fed ha avuto un ruolo decisivo nel mantenere ancorate le aspettative di inflazione di lungo periodo, dopo la forte risalita registrata nel 2022. Qualsiasi segnale di transizione verso una logica di fiscal dominance, o di un allentamento prematuro, rischierebbe di compromettere questa stabilità faticosamente conquistata, con effetti negativi a catena.

Pertanto, il nostro scenario di base prevede che anche la Fed mantenga i tassi invariati anche a settembre — a condizione che il mercato del lavoro resti relativamente stabile.

Implicazioni per i portafogli

Sebbene le aspettative a breve termine per BCE e Fed sembrino allineate, il pricing dei mercati evidenzia differenze significative:

  • BCE: secondo i mercati, c’è una probabilità del 30% che i tassi restino pari o superiori al 2% da qui a fine anno
  • Fed: i mercati stimano una probabilità del 30% che i tassi scendano al 3,5% entro fine anno.

In questo contesto, abbiamo una visione costruttiva sui tassi di interesse a breve termine in euro, con rischi orientati verso ulteriori tagli della BCE. Adottiamo invece un approccio più prudente sui tassi USA a breve termine, dove riteniamo che il mercato sia eccessivamente ottimista sull’ipotesi di un allentamento.

Sulle scadenze più lunghe, adottiamo una posizione negativa sulla duration, prevedendo un irripidimento della curva alla luce di un’espansione fiscale più marcata – soprattutto se i tagli ai tassi dovessero arrivare presto e accompagnarsi a misure fiscali particolarmente generose.

Preferiamo i titoli indicizzati all’inflazione per coprirci dal rischio di una possibile risalita dell’inflazione – soprattutto considerando che, per il momento, break-even e aspettative inflazionistiche restano sotto controllo.

Infine, siamo ribassisti sul dollaro, indebolito dalla crescente perdita di credibilità delle istituzioni statunitensi, minate dalle continue pressioni su Powell e sull’indipendenza della Fed, dall’incertezza politica alimentata dalla guerra commerciale, e dal rischio crescente di disancoraggio delle aspettative inflazionistiche interne, causato da dazi più elevati e una politica fiscale espansiva.

Al contrario, la BCE sembra operare in un contesto completamente diverso. Per quanto possa sembrare controintuitivo, il pluralismo dell’Unione – 27 Stati membri con interessi spesso divergenti – rende più difficile ogni forma d’ingerenza e rafforza, in ultima analisi, la credibilità dell’istituzione sui mercati. Un contesto che ci porta a privilegiare l’euro e le obbligazioni europee.