Anche Armani nella tagliola del Fisco: lo stilista versa 270 milioni
Mancava Re Giorgio. Neanche farlo a posta. Dopo Bulgari, Prada, Safilo, Marzotto e Dolce&Gabbana (su cui si attende ancora l'ultimo responso del Tribunale), anche il gruppo Armani è finito sotto la lente del Fisco per una mancata regolarizzazione del domicilio fiscale della sua catena societaria dal 2002 al 2009. Un vulnus che ha costretto la maison di via Borgonuovo a versare all'Agenzia delle Entrate questa settimana, secondo quanto riferisce il Sole-24Ore, ben 270 milioni di euro.
Dal 2000, il gruppo fondato dallo stilista circa 40 anni fa ha portato avanti una strategia di diversificazione attraverso la creazione di una serie di società operative localizzate in diversi Paesi del mondo. Scelta prima della quale lo stilista e la sua squadra di manager avevano attivato una procedura di interpello delle autorità fiscali nazionali al fine di ricevere, in un'ottica di trasparenza, un'approvazione ex ante onde prevenire futuri contenziosi.
Nel 2009, l'inizio dei problemi dopo che il nuovo management ha scelto di concentrare in Italia la direzione strategica del gruppo riportando anche dentro i confini nazionali il domicilio fiscale di queste società e la nozione giuridica di residenza fiscale societaria è finita nel mirino dell'Agenzia delle Entrate.
Secondo la Guardia di Finanzia, infatti, anche prima del 2009 le società estere avevano l'effettivo domicilio fiscale in Italia. Convinzione che ha spinto lo stilista ad accantonare nei bilanci dal 2009 fino al 2012 (l'ultimo dato disponibile) "prudenti stanziamenti a fronte di rischi di natura fiscale", trovando poi un accordo con lo Stato e versando quest'anno 270 milioni (riconosciute al gruppo le tasse pagate all'estero) come valore per le imposte non versate dal 2002 al 2009. Chiudendo la porta così a qualsiasi contestazione fiscale.