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Economia
Google licenzia 12mila persone nel mondo: tutti i mali delle big del tech
Sundar Pichai, ceo di Alphabet

Il punto è proprio l’orizzonte temporale che si vuole considerare. Ma anche in questo caso bisogna fare molta attenzione. Se si pensa che nel lungo periodo siano comunque i titoli tecnologici a premiare gli investitori, si commette un grave errore. Apple, ad esempio, che pure ha garantito un rendimento complessivo dalla quotazione in Borsa stratosferico (21,13% medio annuo), si colloca solo al decimo posto in questa speciale classifica stilata da Wall Street Journal, dietro a colossi dell’industria tradizionale come Home Depot o Nike.

Né può durare in eterno la convinzione che tutto ciò che è tecnologico sia, per definizione, buono. Il mondo del fintech, ad esempio, ha iniziato a crescere e a strutturarsi quando ha capito che non doveva essere alternativo a quello bancario facendo leva esclusivamente sul prezzo. Perché così si fa solo dumping, non si crea valore aggiunto. 

Che cosa aspetta il tech nel futuro? L’impressione è che gli scossoni ci saranno ancora. Come al solito il mercato tende a precedere l’economia reale. La scelta di Google di licenziare 12mila dipendenti è stato premiato dagli investitori, con il titolo che cresce di quasi il 5%. Una struttura più snella, agile e soprattutto meno cara. Sì perché lavorare nella Silicon Valley rende molto più che nelle aziende tradizionali americane: basti pensare che un dipendente medio a stelle e strisce ha guadagnato nel 2022 54.132 dollari. Un lavoratore di Google percepisce invece, in media, 295.884 dollari. Con il ceo Sundar Pichai che potrebbe arrivare a guadagnare 292 milioni in un anno.

Troppi, troppi, troppi. Per questo motivo la bolla si è inceppata, di fronte a tre ordini di problemi. Il primo: la gente, dopo l’esplosione del digitale in piena pandemia, si è già stancata e vuole tornare alla vita “quotidiana”, tra l’altro in un periodo di permacrisi in cui al Covid si sono aggiunti la guerra e l’inflazione; il secondo: si è raggiunta la massa critica dei potenziali utenti. Il mondo occidentale rallenta e i Paesi in via di sviluppo o non sono ancora pronti, o hanno i loro sistemi di comunicazione (come nel caso di TikTok). Terzo e ultimo tema: la certezza da parte degli investitori di aver “spremuto” a sufficienza i big tech. 

Questo significa che ora ci si sta guardando intorno, alla ricerca di nuovi obiettivi. Partendo da una consapevolezza: che i titoli tecnologici torneranno sicuramente sulla cresta dell’onda. Ma che per farlo dovranno prima recuperare un minimo di credibilità nei diversi settori. Tesla dovrà iniziare a raggiungere i target di produzione delle auto. Amazon dovrà affrancarsi dal semplice meccanismo di consegna in 24 ore con Prime e differenziare ulteriormente i servizi, liberandosi anche della “paccottiglia” che spesso viene venduta senza controllo; Big G dovrà ritrovare la sua strada di pioniere dell’innovazione; Meta dovrà decidere che cosa vuole fare da grande: monetizzare WhatsApp? Sfruttare Instagram? La sola pubblicità online, specie in periodo di contrazione economica, non basta più. Il 2023 è appena iniziato, ma i ceo della Silicon Valley hanno già l’acqua alla gola. 

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