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Economia
Guffanti: "La Via della Seta sia legata al potenziamento delle infrastrutture"

“Sono favorevole alla ‘Via della seta’ attraverso un avvicinamento commerciale alla Cina con i canali di trasporti; come sono a favore di tutti gli altri processi di miglioramento delle infrastrutture nel nostro Paese, altrimenti rapidamente si tornerà al Medioevo”. Lo dice in un’intervista all’Adnkronos/Labitalia, Alessandra Guffanti (nella foto), direttore commerciale Guffanti Concept, vicepresidente giovani imprenditori Assolombarda ed ex presidente giovani imprenditori di Sistema Moda Italia, con alle spalle un’esperienza, come imprenditrice, nel mercato cinese. Guffanti Concept è la piattaforma strategica per la distribuzione del fashion in Italia e all’estero. Nel 2018 ha registrato 10 milioni di euro di fatturato e più di 17 milioni di giro d’affari con un incidenza estero superiore al 40%, conseguito soprattutto nell'ex Urss, Great China, Corea e Middle East.
“Il tema ‘Via della seta’ -spiega- è sempre legato alle infrastrutture. Dunque, alla possibilità di avere collegamenti più veloci basati su meccanismi molto più stabili, che è la base per una crescita di uno scambio commerciale. Questo ovviamente migliorerà l’import dalla Cina, ma altrettanto il nostro export”.
“Il made in Italy -ricorda ancora- rappresenta un valore per il cliente cinese che, proprio per questo motivo, considera il made in Italy uno standard sempre e doverosamente altissimo. Pertanto, è inaccettabile, per il consumatore cinese, avere prodotti made in Italy che siano belli ma, probabilmente per motivi anche di prezzo, di qualità più commerciale. Il percepito corrisponde sempre a un prodotto di lusso con un’unicità e un valore irripetibile all’interno del loro mercato. L’ingresso nel mercato cinese -puntualizza Guffanti- rappresenta una sfida con un costo elevato per tutte le aziende: in primis, la gestione del marchio che deve essere correttamente registrato e conforme alle loro normative, altrimenti si incorre in facili azioni di frode che depauperano qualunque iniziativa verso quel Paese. Nonostante ci sia una ‘Via della seta’ fisica, non esiste una via della comunicazione facile, perché i loro sistemi di comunicazione social non sono gli stessi nostri e pertanto le aziende devono affrontare investimenti di minimo 40mila euro l’anno per attivare tutti i propri canali in cinese, con costante mantenimento; dunque un costo molto elevato”.
“La parte dell’e-commerce poi -aggiunge- necessita di tutti questi vincoli: un’accurata registrazione dei marchi, con relative procedure, in termini di costi e tempi significativi, e una parte di gestione della produzione secondo tempistiche abbastanza speciali e non ovvie da seguire”.
“Non possiamo pensare -avverte infine l’imprenditrice- che una via fisica sia la soluzione all’interno dell’intermediazione, perché di fatto i nostri prodotti già oggi possono arrivare in quel Paese; rimane, però, il tema della libertà di ingresso attraverso barriere che non sono doganali, ma sono di fatto limitanti all’ingresso commerciale all’interno della Cina”.

 

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