Economia

Il crollo del governo è un problema per le tlc: nessun rinvio per la maxi-rata

Tim e Wind Tre hanno chiesto di poter alzare le tariffe agganciandole all’inflazione. Che cosa succede ora

Le aziende di telecomunicazioni sono in fibrillazione

Sono molti gli effetti della caduta del Governo Draghi. Uno di questi è l’impatto sul mondo delle telecomunicazioni. Gli operatori, infatti, entro il 30 settembre dovranno pagare 4 miliardi di euro come “maxi-rata” per l’asta del 5G. Una cifra che Asstel – l’associazione di categoria – ha ufficialmente chiesto di dilazionare, visto che le frequenze saranno valide fino al 2037. Ma la caduta del governo rende quasi impossibile che questo si verifichi. Si tratta di una richiesta che era già stata fatta al primo governo di Giuseppe Conte, ed era caduta nel vuoto. Diversa sorte aveva avuto con il Conte 2, quando l’allora ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, insieme a quello dell’economia Roberto Gualtieri avevano avviato l’istruttoria. La caduta anche di quell’esecutivo ha congelato il tutto, perché con l’avvento di Draghi non si è più parlato di rateizzazione. 

L’incremento delle tariffe

Come confermato dal ceo di Tim Pietro Labriola ad Affaritaliani.it, i margini delle aziende del settore si stanno talmente riducendo che riequilibrare le tariffe è diventato fondamentale. Come? Ovviamente alzando i prezzi per aumentare la redditività. D’altronde, abbiamo le tariffe più basse d’Europa. L’idea, suffragata anche da un intervento di Roberto Basso, direttore delle relazioni esterne di Wind Tre, è di chiedere all’Agcom la possibilità di derogare al Dlgs 259/2003 che impone alle società di telecomunicazioni di poter aumentare le tariffe a loro discrezione, ma impone di avvisare con almeno 30 giorni gli utenti e chiede di permettere il recesso, nei successivi 30 giorni, senza nessuna penale. Wind Tre e Tim, invece vorrebbero poter aumentare le tariffe, agganciandole all’inflazione. Eliminando la possibilità di recedere entro 30 giorni dall’adeguamento tariffario. 

Il dossier rete unica

Le tariffe non sono l’unico tema su cui Tim – tornata nell’occhio del ciclone dei mercati e oggi valutata meno di 4,6 miliardi in Borsa – sta avendo qualche difficoltà. C’è anche il dossier rete unica: l’attività ordinaria del governo, infatti, non può riguardare anche un tema così importante. E c’è il rischio di un nuovo impasse. Giorgia Meloni, accreditata da molti come possibile leader del prossimo esecutivo, a maggio di quest’anno aveva applaudito alla integrazione tra Fibercop e Open Fiber. Ma qualche giorno fa Alessio Butti, responsabile del Dipartimento Tlc di Fratelli d’Italia, ha cannoneggiato contro la rete unica: “'Il top management di Cdp, espressione diretta del presidente Draghi dovrebbe considerare in modo diverso i contesti in cui assumere decisioni già difficili e critiche per loro natura -continua Butti-. Il progetto di rete unica, cosi come è stato pensato in queste settimane, non ci convince e questa valutazione trova riscontro anche dall’atteggiamento degli investitori istituzionali che hanno ampiamente bocciato la proposta di Tim. Cdp deve prendere atto che con la crisi del Governo Draghi non è più possibile presentare una offerta per la rete di Tim, anche se non vincolante -aggiunge Butti-. Sarebbe una beffa per i cittadini italiani, perché rischia di essere un modo per assumere decisioni poco trasparenti che avvantaggiano solo i privati, e per giunta stranieri, con soldi pubblici. Non è più epoca di regali del genere”.

Come fa notare Repubblica, il tema della valutazione della rete è di fondamentale importanza: i francesi di Vivendi hanno addirittura alzato il tiro, e ritengono che il suo valore si aggiri tra i 31 e i 34 miliardi di euro, superiore sia a quanto stimato dagli analisti (17-21 miliardi) sia dagli advisor indipendenti della stessa Tim (25 miliardi). Il problema, dunque, è che lo stallo nella valutazione, oltre alla caduta del governo Draghi, ha reso la rete unica un po’ più lontana. Nel frattempo, però, si tratta di capire che cosa ne sarà dell’ex-Sip. Il piano Labriola, per ora, non sembra aver convinto i mercati, tanto che Moody’s ha abbassato il rating a B1, con outlook negativo.