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Economia
Jobs Act, "non rilancerà l'occupazione". Ecco perché


Non si illuda Renzi di rilanciare l'occupazione con il Jobs Act e con il giro di vite sulle finte co.co.co e sul lavoro a progetto. Questo strumento è sicuramente un tassello importante all'interno della riforma del mercato del lavoro, ma da solo non basta per far ripartire l'economia. Da qui a dire che è vicina la ripresa economica del Paese ne corre. Antonio Corvino, direttore generale dell'Osservatorio Banche Imprese, spiega ad Affaritaliani.it che non può funzionare la tesi del governo di tenere i conti in ordine. "Di fronte ai pericoli di deriva sociale e di depauperamento della base produttiva, serve una strategia di sviluppo a livello nazionale basata su una logica di sistema e un'azione strutturale di medio-lungo periodo fondata sui driver di rilancio dell'economia locale tra loro strettamente connessi".

Quindi il Jobs Act non è sufficiente. "E' sicuramente un tassello importante del nuovo mercato del lavoro perché interviene sia in materia di contratti, sia sul versante della flessibilità in entrata e in uscita e sia sulla convenienza per le imprese di usufruire di una minore contribuzione per ogni lavoratore assunto. Ma da solo non può risolvere il problema della disoccupazione. Purtroppo, c'è ancora poca sostanza nelle misure del governo. La ripresa andava affrontata non con interventi tampone cui il Paese è sto abituato per molto tempo, ma ricostruendo un nuovo sistema economico e produttivo in grado di attrarre risorse e competenze, soprattutto nelle nuove generazioni che avvertono di più il senso del riscatto".

Di nuovo c'è quindi poco. "In Italia c'è un esercito di 13 milioni di persone tra i 25 e i 40 anni che vive di precarietà. Mi riferisco ai ricercatori, ai collaboratori degli studi professionali, degli uffici pubblici. Di questi, non tutti riescono a trovare una stabile occupazione tra le maglie di Garanzia Giovani e delle altre opportunità. Occorre pertanto pensare anche come offrire occasioni di sistemazione stabile anche alle altre categorie del precariato. In un certo senso, chi è precario è ricco, perché ha i genitori alle spalle che lo mantengono. Ma poi?".

Ma perché le imprese sono ancora restie ad investire? "La grande industria non investe per l'incertezza del quadro politico e normativo, figuriamoci se lo fa la piccola impresa".

Però la disoccupazione è scesa. "E' scesa dal 12,8 al 12,6% ma sono cresciuti coloro che non cercano più lavoro. E questo non può far sbandierare la bandiera del Jobs Act come il toccasana della disoccupazione. Sono altre le riforme da portare a termine".

Quali possono essere i driver di sviluppo, soprattutto nel Mezzogiorno? "Innanzitutto la logistica. In tale senso andrebbe creata una sorta di piattaforma logistica e commerciale per dare slancio e competitività alle imprese attraverso un modello incentrato sui settori trainanti locali e su una nuova politica industriale. Gli altri modelli di sviluppo si identificano nel turismo, un segmento che nel Mezzogiorno produce poco più dell'8% del suo valore aggiunto, nell'agroalimentare, nel manifatturiero di qualità e nell'aerospazio. Purchè facciano leva su progetti da parte dei territori interessati nel rispetto non solo delle leggi economiche, ma anche di regole sociali e principi etici".

Eduardo Cagnazzi
 

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