L'auto nel mirino di Trump: rischiano Ferrari, Lamborghini, Brembo e Pirelli - Affaritaliani.it

Economia

L'auto nel mirino di Trump: rischiano Ferrari, Lamborghini, Brembo e Pirelli

Luca Spoldi

La ventilata introduzione, a novembre, di nuovi dazi fino al 25% sulle importazioni di auto europee non colpirebbe grandi volumi, ma...

Sparata la prima raffica di dazi da 7,5 miliardi contro l’export europeo, come “ritorsione” (approvata dal Wto) per gli aiuti dati ad Airbus ai danni di Boeing, Trump, che già l’anno scorso aveva colpito l’industria europea imponendo dazi sull’inport di acciaio e alluminio, potrebbe ora cercare di fare filotto seguendo le indicazioni ricevute dall’indagine Wilbur Ross del Dipartimento del Commercio americano e facendo scattare dazi fino al 25% anche sulle importazioni di auto europee negli Usa a novembre.

In questo modo Trump farebbe subito capire alla nuova Commissione Ue presieduta da Ursula von der Leyen chi comanda, aumentando inoltre la pressione sull’Europa perché chiuda le porte in faccia alla Cina (con cui Trump ha da tempo in corso un duello per difendere la leadership in settori strategici ad alta tecnologia come le telecomunicazioni e l’intelligenza artificiale) e alla sua Via della Seta.

Ultimo ma non meno importante risultato che Trump potrebbe ottenere con una simile mossa, aumenterebbe la pressione non solo e non tanto perché l’Europa elimini i propri dazi sulle importazion di auto dagli Stati Uniti (visto che anche così il deficit commerciale tra le due aree non si modificherebbe in misura significativa), ma perché acconsenta a incrementare le importazioni di generi alimentari, ammorbidendo le norme in tema di salute che sinora hanno consentito di proibire la vendita di prodotti come i polli sterilizzati col cloro o la carne pompata di estrogeni.

A rischiare maggiormente sarebbero i produttori tedeschi, che negli ultimi anni hanno spostato una fetta consistente della produzione proprio in Cina, ma anche in Italia le ripercussioni non mancherebbero, sia direttamente sia indirettamente. Direttamente perché alcune delle più famose sportive di lusso amate dai guidatori americani sono italiane, come Ferrari e Lamborghini (quest’ultima di proprietà di Audi, ossia di Volkswagen, ma sempre prodotta nel “bel paese”).

Per Ferrari gli Usa rappresentano da soli circa un terzo delle vendite con oltre 2.500 vetture vendute lo scorso anno, ossia quanto i cinque maggiori mercati europei messi assieme. Per Lamborghini gli States sono saldamente il principale mercato, davanti a Giappone, Germania, Cina, Canada e Medio Oriente. In tutto Lamborghini vende oltre mille vetture l’anno negli States.

Sebbene possano sembrare numeri esigui (stiamo parlando di poco più di 3.500 vetture rispetto ad un mercato dell’auto che gira sui 5,5 milioni di auto passeggeri immatricolate all’anno, oltre a quasi 11,8 milioni di Suv e truck, si tratta di numeri “preziosi” visto che ogni Ferrari costa tra i 200 e i 300 mila euro, mentre i modelli Lamborghini costano da 200 a quasi 400 mila euro.

Conseguenze sia dirette sia indirette toccano poi l’industria della componentistica e della meccanica in genere, che oltre a vendere negli Stati Uniti vede nei produttori automobilistici tedeschi alcuni dei suoi principali clienti. Per Brembo, ad esempio, la Germania rappresenta oltre un quinto delle vendite (e gli Stati Uniti un altro quarto), per Pirelli, dal 2015 controllata dal colosso cinese ChemChina, le vendite nell’area Nafta hanno rappresentato nei primi sei mesi dell’anno il 21% del totale, contro il 44% dell’area Emea (con lo stabilimento tedesco di Breuberg oggetto di ulteriori investimenti ancora nel 2017).

La soluzione per aggirare l’ostacolo naturalmente esiste: spostare parte della produzione negli Usa, o accettare di tagliare i listini per compensare in tutto o in parte i dazi. In entrambi i casi però l’impatto sui conti sarebbe certamente non positivo, almeno a breve termine. Difficile tuttavia dire quanto rischiano, in soldoni, i gruppi italiani, almeno fin quando non sarà nota la lista dei prodotti colpiti eventualmente dai nuovi dazi e non sarà possibile valutare le contromosse delle aziende coinvolte.