Non si scampa: ripartire dal lavoro
Di Nicolò Boggian
Dietro a moltissimi problemi del Paese c’è sempre il tema del lavoro. Un'ossessione italiana per cui piani industriali, servizi, denaro pubblico e finanziamenti ruotano solo e sempre attorno alla tutela del lavoro .
Una foresta pietrificata di diritti acquisiti e rendite di posizione che non si possono toccare per non scalfire il vero nervo scoperto del Paese: il posto di lavoro. Dai ministeri, alle aziende di stato, alla scuola, alle municipalizzate tutto si può negoziare, le tariffe si possono alzare, le tasse locali anche, ma nessun cambiamento che tocchi i Posti di Lavoro.
Un'ossessione endemica che non riguarda solo operai e impiegati, ma anche politici, imprenditori e manager. Tutti avvinghiati a posizioni inamovibili e rendite, ben sapendo che abbandonata la posizione si rischia di restare fuori dal “giro”. Non si può chiudere un Tribunale, le Province, un aeroporto, un ospedale, riorganizzare un servizio, delocalizzare una fabbrica, perché ci si scontra con le resistenze di chi perderà il lavoro, con la perdita di potere di chi può distribuire questi posti sicuri o con il buonismo di chi offrendo lavoro si sente più utile e importante. Ma il lavoro deve assolvere una funzione di utilità sociale o può essere solamente una forma di assegno sociale ? Si può pretendere che un imprenditore votato al profitto possa ragionare come una Onlus? Quando un politico raccomanda una persona fa il bene di quella persona e dell’azienda?
Tutto questo immobilismo danneggia il contesto generale, non consente di dare servizi utili al cittadino e fa ristagnare l’economia e la capacità di innovazione. Giovani e meno giovani che sperano di trovare lavoro come di vincere la lotteria per poi avere una rendita sicura per arrivare alla pensione. Tutto questo è sostenibile? Questa mentalità è la via migliore per la felicità e la realizzazione delle persone? Spesso quando si parla di lavoro si ragiona su come l’apprendistato possa essere uno strumento per creare nuova occupazione, come incentivi a tempo indeterminato aiutino le aziende ad assumere, come modificare il diritto del lavoro e le sue leggi possano creare un contesto lavorativo più flessibile e produttivo.
Credo invece che, aldilà di un'auspicabile semplificazione di un sistema normativo follemente complesso e frammentato fra centinaia di regole e procedure, e di una inevitabile diminuzione del carico fiscale che pesa sui posti di lavoro, il tema non sia di inventare nuove regole, ma di cambiare una mentalità per cui il lavoro non può essere un diritto divino e non può esistere se non garantisce una qualche forma di utilità collettiva o di sostenibilità futura. Il lavoro di Stato o delle tante corporazioni Italiane e settori protetti, che sta in piedi solo per obblighi sanciti dalla Legge non è un lavoro sano soprattutto considerando le proporzioni endemiche che raggiunge in Italia e finisce per pesare sulla collettività e sui tanti imprenditori che si guadagnano da vivere offrendo un servizio o un prodotto che il cliente sceglie se consumare oppure no.
Le tante opacità e i clientelismi del Paese consentono ad alcuni di lavorare a prezzi superiori al mercato danneggiando la collettività e chi da servizi e prodotti migliori.I diritti pensionistici maturati con stipendi fuori mercato e in rendite di posizione minano alla base addirittura il nostro sistema di welfare futuro.
Se c’è un ambito in cui il nostro paese ha uno spread evidente rispetto al resto dei Paesi “sviluppati” è proprio nella cultura del lavoro. Gli aspetti non economici e non normativi, come il riconoscimento professionale, lo sviluppo della carriera, la flessibilità nella gestione degli orari di lavoro, il clima aziendale, il rispetto del cliente, del dipendente e del collega e gli strumenti di conciliazione vita privata e lavoro sono chiaramente insufficienti nel nostro Paese.
Fanno per questo grande simpatia e ammirazione tutti quegli esempi di autoimprenditorialità, di giovani e meno giovani, e di scelte diverse di chi lascia un posto fisso per inseguire una passione, un sogno e un obiettivo. Vengono guardati spesso come dei folli, ma hanno invece capito che l’unico diritto che un individuo deve reclamare è quello di essere messo nella condizione di valorizzare il proprio capitale umano, il proprio impegno e la propria creatività. Proprio quegli aspetti che il posto fisso, le rendite e il diritto al lavoro spesso uccidono . Questi giovani startupper, professionisti e imprenditori hanno capito che tramite il loro valore si conquistano il diritto più sicuro e la migliore strategia per affrontare il futuro.
Quando questa mentalità tornerà ad essere prevalente nel Paese cambieranno davvero le cose e ritorneremo a crescere. Fino a che non vorremo correre rischi e accetteremo di essere soggetti passivi nel nostro percorso professionale e formativo non ci sarà politico illuminato o istituzione nazionale o sovranazionale che ci farà uscire dalla crisi. A partire dalla scuola, una nuova rivoluzione culturale nel mondo del Lavoro è il primo fattore di cui abbiamo bisogno veramente.