Lo Stato stratega, così il mercato trasformativo cambia il volto dell'economia tra energia, difesa e tecnologia - Affaritaliani.it

Economia

Lo Stato stratega, così il mercato trasformativo cambia il volto dell'economia tra energia, difesa e tecnologia

Energia, difesa, digitale, infrastrutture, manifattura avanzata: ogni comparto è oggi chiamato a confrontarsi con sfide sistemiche. L'analisi

di Raffaele Volpi

Lo Stato stratega: il nuovo volto dell’economia italiana tra diritto, finanza e geopolitica. Il commento 

Nel nuovo lessico dell’economia europea non esistono più settori “neutrali”. Energia, difesa, digitale, infrastrutture, manifattura avanzata: ogni comparto è oggi chiamato a confrontarsi con sfide sistemiche che intrecciano finanza, normativa, ambiente, sicurezza. Le linee di confine tra pubblico e privato si fanno porose, il mercato diventa luogo di interessi strategici, e lo Stato torna — in forme nuove — a esercitare un ruolo di regia.

Non si tratta di un ritorno alla pianificazione novecentesca, ma di un’esigenza di governo complesso, che deve combinare visione industriale, competenza giuridica, capacità di mobilitare capitali. E in questo scenario emergono, con forza, figure professionali e organizzazioni capaci di connettere ambiti diversi: diritto, finanza, tecnologia, ambiente, sicurezza nazionale. L’Italia, in questa trasformazione, è un laboratorio particolarmente interessante. E Milano, più ancora di Roma, ne è l’epicentro operativo.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un fenomeno che ha capovolto molti assiomi della globalizzazione. Lo Stato non è più considerato l’antagonista del mercato, ma piuttosto il suo co-protagonista. Interviene per proteggere infrastrutture critiche, regolare flussi energetici, difendere asset industriali, incentivare filiere strategiche. In Italia ciò avviene attraverso strumenti come il golden power, i contratti di programma, le concessioni pubbliche, gli incentivi alla transizione ecologica e digitale. Ma dietro questi strumenti c’è una domanda molto più profonda: chi governa la trasformazione strutturale dell’economia?

Le aziende, anche le più sofisticate, si trovano oggi a dover comprendere norme in evoluzione, scenari geopolitici mutevoli, condizioni finanziarie complesse. Serve un nuovo alleato: non solo il consulente tradizionale, ma un interlocutore in grado di leggere insieme le regole, i mercati e gli indirizzi pubblici. Un profilo sempre più raro, ma determinante.

L’energia è tornata a essere, per l’Europa, un nodo geopolitico. Dopo l’emergenza seguita alla crisi ucraina, il sistema energetico europeo ha accelerato sulla diversificazione delle fonti e sulla decarbonizzazione. Ma la vera sfida riguarda le infrastrutture: reti elettriche, impianti di stoccaggio, rigassificatori, pipeline idrogeno-ready, cavi sottomarini, interconnessioni. Tutti questi asset, oggi, sono oggetto di project finance, autorizzazioni ambientali complesse, controlli antitrust, valutazioni di impatto strategico. Anche il concetto di concessione sta mutando: dalle concessioni portuali e autostradali alle più recenti concessioni energetiche e di banda larga, il tema non è più solo giuridico ma eminentemente politico-economico.

In questo contesto, chi opera nel mondo delle utility, dei fondi infrastrutturali, dei grandi operatori integrati ha bisogno di un ecosistema professionale che comprenda: il linguaggio delle authority, la costruzione del deal finanziario, la difesa legale in caso di contenzioso o arbitrato. E anche la capacità di leggere i segnali deboli delle future normative europee.

Tra le novità più rilevanti dell’ultimo triennio c’è la convergenza crescente tra il settore della difesa e quello della tecnologia civile. In Europa si è finalmente aperta una stagione di investimenti in sicurezza comune e industria della difesa, con programmi europei come il Fondo Europeo per la Difesa (EDF) e le nuove iniziative della Commissione per il dual use. Ma la vera partita si gioca nell’integrazione tra imprese civili e militari: sensori, semiconduttori, materiali avanzati, satelliti, cybersecurity, intelligenza artificiale. La logica duale richiede nuove forme contrattuali, strutture societarie ibride, regole di controllo e compliance rafforzata.

In questo settore non bastano competenze verticali: servono esperti capaci di gestire una due diligence strategica, che sappiano mediare tra gli interessi industriali e i limiti imposti dai regolatori, che conoscano i vincoli NATO o le regole sull’export di materiale sensibile. L’Italia, con gruppi come Leonardo e un ecosistema crescente di PMI innovative, è in prima linea. Ma la cornice giuridica e finanziaria è ancora in costruzione, e va seguita con attenzione.

Dietro ogni operazione di sistema — dalla fusione tra operatori energetici alla cessione di asset infrastrutturali, dalla creazione di una nuova filiera green-tech alla valorizzazione di partecipazioni pubbliche — si cela quasi sempre un’architettura finanziaria sofisticata. Negli ultimi anni, strumenti come i green bond, i project bond, i sustainable loan, le cartolarizzazioni su asset pubblici sono diventati elementi centrali nella costruzione di valore. Ma anche gli strumenti più classici — acquisition finance, leveraged buyout, IPO, debt restructuring — stanno vivendo una fase di rinnovamento, dove contano tanto la visione industriale quanto la conoscenza regolatoria.

 

Chi lavora oggi sul campo del corporate finance e delle operazioni straordinarie deve saper parlare con gli investitori, con le banche, con le authority e con le controparti pubbliche. E deve gestire scenari in cui la geopolitica può cambiare, da un giorno all’altro, le condizioni stesse del deal. È un mondo dove il dettaglio contrattuale si intreccia con la visione strategica, e dove la dimensione etica, ambientale, sociale non può più essere messa tra parentesi.

Nel panorama europeo, l’Italia rappresenta un unicum. Da un lato, è sede di eccellenze industriali, ingegneristiche e finanziarie. Dall’altro, vive una sovrapposizione spesso disordinata di livelli normativi, prassi amministrative, rapporti centro-periferia. Ma proprio per questo l’Italia è anche il luogo dove si sperimentano soluzioni ibride, dove la convergenza tra diritto, impresa, finanza e istituzioni è più urgente. Ed è anche il luogo dove le professionalità più innovative stanno emergendo: esperti che sanno leggere un bilancio e un PEF, che conoscono i codici ma anche le linee guida europee, che riescono a mediare tra i tempi lunghi della burocrazia e quelli rapidi del capitale.

Milano, in particolare, è oggi il centro di questa trasformazione. Qui si incrociano le sedi delle authority, le grandi utility, i fondi infrastrutturali, le start-up deep tech, i grandi studi professionali capaci di unire diritto e impresa. Ed è qui che si sta disegnando — giorno per giorno, contratto dopo contratto — il futuro strategico dell’economia italiana.

Chi saprà accompagnare le imprese, le istituzioni, gli investitori in questa stagione di cambiamento avrà un ruolo decisivo. Non si tratta solo di fornire servizi, ma di costruire fiducia nei processi di trasformazione. Di essere partner, non semplici consulenti. Di capire che oggi, più che mai, il diritto è anche infrastruttura. E il futuro non si improvvisa, ma si negozia. Ed è proprio in questo momento, mentre si ridefiniscono gli equilibri globali e le mappe industriali del continente, che diventa cruciale comprendere quali siano gli spazi per una strategia complessa, lucida e condivisa: specialmente nelle grandi operazioni economiche e finanziarie che coinvolgono le aziende strategiche del Paese, dove lo Stato non può più limitarsi a osservare, ma deve essere attore responsabile e competente, in una logica di compartecipazione intelligente con i soggetti privati.