Europa, la metamorfosi dei Piigs. L'unico maialino rimasto è l'Italia

C’erano una volta i Piigs: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, accomunati agli occhi degli investitori dal far parte di una periferia dell’Unione europea inaffidabile e ad un passo dal baratro. Una situazione le cui concause, per molti, erano legate alla progressiva perdita di competitività dei vari sistemi paesi nei confronti dei paesi “core” come al Germania, che infatti vedeva i tassi sui propri titoli di stato cadere sotto lo zero mentre quelli dei “porcellini” volavano alle stelle, col Btp decennale italiano che a fine 2011 toccava il 7,56% annuo pari ad uno spread contro Bund del 5,3%.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ai “porcellini” in pesante crisi (accentuata dalla politica di repressione fiscale promossa dalla “troika” Bce-Ue-Fmi su input diretto della “virtuosa” Germania) si è aggiunta Cipro, autentica centrale del “nero” russo e medio orientale in pieno mediterraneo (ed eurozona) per la quale tuttavia anziché il meccanismo dei “bail-out” adottato fino a quel momento per aiutare l’Irlanda (85 miliardi di aiuti ad un tasso pari al 4% circa in scadenza a fine anno), il Portogallo (78 miliardi di aiuti al 4% annuo da restituire entro la metà del 2014) e la Grecia (che con due successivi interventi si è vista erogare in tutto 240 miliardi di aiuti e che potrebbe vedersene erogare altri 10-12 a inizio 2015, essendo improbabile che possa tornare a finanziarsi sul mercato) si è preferito adottare una procedura di “bail-in” che ha scaricato parte dei costi del dissesto bancario anche sui bondholder e sui depositanti (e non solo su azionisti e contribuenti).

Gli spread sono scesi, quello italiano in particolare oscilla da alcune settimane tra il 2,3% e il 2,5% (a seconda del salire o dello scendere delle tensioni politiche domestiche) a fronte di un rendimento del Btp decennale guida che oscilla tra il 4,10% e il 4,20%. Tutto bene, dunque? Non proprio, visto che nel frattempo anche i rendimenti degli altri “ex” porcellini sono calati, persino più di quelli italiani, tanto che la Spagna paga qualche punto base meno sui propri titoli decennali (e dunque lo spread a favore dei Btp italiani si è completamente azzerato ed anzi a tratti tende a invertirsi a favore dei Bonos spagnoli), mentre gli analoghi bond greci rendono sul mercato l’8,5% (mentre oscillavano sul 18% ancora un anno fa) e quelli portoghesi rendono poco più del 6,10% (contro l’8,8% di un anno fa).
Ancora meglio ha fatto l’Irlanda, che già a marzo a inizio anno ha “saggiato” l’appetito per il rischio del mercato proponendo due nuove emissioni (una a 5 anni in gennaio e una a 10 anni a marzo) pagando sul titolo più lungo una cedola del 4,15% (contro il 15% toccato nel luglio del 2011) e da quel momento mantenendosi sotto il rendimento offerto dai titoli decennali italiani e spagnoli. E questo nonostante che Dublino abbia già fatto sapere di voler chiedere un secondo programma di aiuti da 10 miliardi quando scadrà il primo pacchetto di aiuti, al pari del resto di Lisbona (che ha da poco confermato di aver avviato trattative coi creditori internazionali per la concessione di una linea di credito “precauzionale” in vista della scadenza, a metà anno, del pacchetto di aiuti Ue-Fmi-Bce.