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COTEC-BEI, studio sulla digitalizzazione. Gubitosi: "Continuare a investire"

Presentazione Rapporto COTEC-BEI: “The Digitalisation of SMEs in Italy - Models for financing digital projects”

Le piccole e medie imprese (PMI) svolgono un ruolo centrale nell’economia italiana. Rappresentano il 99,9% del numero totale di imprese attive (4,4 milioni), circa l’80% dei posti di lavoro e il 70% del valore aggiunto (VAL).  Tuttavia, la produttività complessiva delle PMI italiane sembra essere inferiore alla media dell’UE e il livello di digitalizzazione delle aziende italiane risulta più basso rispetto alle altre nazioni europee. Lo studio di COTEC-BEI (“The Digitalisation of SMEs in Italy”), presentato oggi in diretta streaming, fornisce una panoramica dello sviluppo della digitalizzazione delle piccole e medie imprese in Italia, individuando le barriere che queste incontrano in tale percorso e indicando le possibili misure di sostegno. Tali misure, riassunte in poche semplici e concrete raccomandazioni, mirano a massimizzare l'accesso al finanziamento per i progetti digitali, aumentare la consapevolezza e le competenze aziendali, essenziali per l'integrazione delle soluzioni digitali, indicare i possibili interventi di semplificazione di cui necessita l’ecosistema dell’innovazione italiano, puntando a migliorare la competitività delle aziende.

Oggi presentiamo questo studio che ha come obiettivo quello di analizzare i principali problemi che impediscono alle PMI italiane di avere un livello di digitalizzazione maggiore e adeguato a quello che sta succedendo nel resto dell’Europa - ha detto Luigi Nicolais, Presidente della Fondazione COTEC -. La partenza del PNRR sarà per tutta l’Italia, come per il resto del nostro continente un momento ideale per poter cercare di superare i gap che abbiamo attualmente presenti. Un altro obiettivo di questo studio è quello di proporre soluzione e misure per rendere concreta la trasformazione digitale”. 

Non c’è vera innovazione senza profonde competenze - ha dichiarato Vittorio Colao, Ministro per l’Innovazione tecnologica -, bisogna investire in modo massiccio nello sviluppo delle conoscenze digitali delle persone a partire dal sistema educativo fino ad arrivare alle imprese e alla nostra PA, agendo sia dal lato dell’offerta sia dal lato dello stimolo alla domanda di competenze”. Dallo studio emerge infatti che gli investimenti in formazione ICT da parte delle PMI sono troppo bassi: solo 2 imprenditori su 10 investono regolarmente per formare il personale su ICT. "Il governo - ha continuato il ministro - investirà in progetti concreti per colmare il gap digitale e competitivo tra Italia ed Europa grazie ad un profondo cambiamento culturale, di metodo e, soprattutto, di competenze”.

A Paolo Di Bartolomei, direttore di COTEC Italia, è stata affidata la presentazione dei risultati del Rapporto “The digitalisation of SMEs in Italy - Models for financing digital projects”, condotto insieme alla BEI (Banca Europea per gli Investimenti) e dal quale compare chiaramente che, nonostante l’Italia vanti un ecosistema dell’innovazione eccezionale, composto da Digital Innovation Hub, Competence Center e Cluster Tecnologici, le Piccole e Medie Imprese scontano ancora importanti ritardi in termini di adozione di tecnologie innovative e competenze digitali

Presentiamo uno studio che abbiamo realizzato su impulso del Ministero dell’Innovazione e della Ricerca - ha spiegato Paolo Di Bartolomei -. Siamo dovuti partire inevitabilmente dal grafico che sintetizza i dati dell’analisi DESI, che è l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società realizzato ogni anno dalla Commissione Europea e che mostra e sottolinea impetuosamente che il livello di digitalizzazione delle nostre imprese, in generale, è piuttosto basso. L’Italia è venticinquesima tra i 28 paesi dell’UE. Questa fotografia in realtà rappresenta in maniera sintetica una situazione che però è abbastanza varia”.

Il rapporto COTEC evidenzia l’importanza della transizione digitale per le nostre PMI e di quanto questa rappresenti una straordinaria opportunità di consolidamento e crescita competitiva che non possiamo perdere – ha spiegato il Ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa -. È tuttavia necessario intervenire sui fattori che ne rallentano il processo. Tra questi: i divari di competenze e la insufficiente disponibilità di investimenti privati. Punti su cui il contributo delle università e dei centri di ricerca così come quello del capitale di rischio sarà determinante. È inoltre interessante sottolineare come, da prospettive diverse, torni uno dei temi chiave che favorisce la diffusione dell’innovazione, quello della fiducia da parte del mondo produttivo e del capitale di rischio nella ricerca e nel suo saper immaginare le tecnologie del domani. Dare fiducia e credito alle idee, alla conoscenza e quindi ai giovani è la molla che lancerà il Paese nel futuro”.

In Italia c’è un ecosistema ben strutturato, forte - ha affermato Luigi Gubitosi, Vice Presidente Confindustria, inaugurando la tavola rotonda succeduta alla presentazione -. Quello che manca è la messa a terra dei benefici di questo ecosistema. Penso che vi siano percorsi strategici importanti. Uno di questi, dal punto di vista tecnologico, è capire qual è l’autosufficienza che si vuole avere in Europa e in Italia dal punto di vista tecnologico. Dovremo evitare di essere solo utilizzatori di tecnologia. Dovremo essere anche dalla parte di chi sviluppa applicazioni, anche se è ovvio che non è immaginabile avere una leadership in tutto e che non si può fare a meno dei grandi player. Però, contare su alternative, campioni tecnologici italiani ed europei, vuol dire che si è più forti e più consapevoli e che le decisioni che prendiamo saranno autonome e non obbligate. Quindi per le nostre imprese è fondamentale poter continuare ad aspirare a una leadership globale. Magari in ambiti anche specifici o di nicchia. Bisogna continuare a investire”.

E’ vero che ci sono importanti risorse pubbliche che verranno gradualmente rese disponibili con il Piano di Ripresa, ma quando finirà la pandemia le nostre imprese avranno bisogno di mezzi freschi, dell’ordine di 170 miliardi per il nostro Paese, per ripartire - ha detto Giampio Bracchi, Presidente di Intesa Sanpaolo Private Banking -. Ciò che sarà disponibile tramite normali circuiti come la Banca e la Borsa saranno un più della metà di questi. L’altra metà è da recuperare. Occorre in qualche modo far leva sui capitali di origine pubblica per orientare in modo volontario, verso il sostengo della nostra economia, anche i capitali privati ingenti, basti pensare che il sistema delle reti di Private Banking gestisce, oggi, qualcosa come 900 miliardi, che sono in piccola parte destinati all’economia reale italiana. Bisogna favorire l’incontro degli interessi delle nostre Pmi e delle Start up con gli investitori, che sono famiglie e sono investitori istituzionali. L’investimento sulle Pmi ha la caratteristica di essere sostanzialmente liquido e maggiormente rischioso, occorre quindi attivare un sistema di garanzie pubbliche che in qualche modo riduca il rischio e orienti i capitali privati verso le imprese”.

La ‘formazione’ non può non avere un ruolo in questa rivoluzione digitale - ha affermato Andrea Prencipe, Rettore dell'Università Luiss Guido Carli -. Le competenze digitali non possono essere considerate soltanto competenze specialistiche. Devono avere una dimensione pervasiva, devono attraversare e contaminare tutti i percorsi formativi e tutte le professioni. Questo significa che qualsiasi professione che i nostri futuri laureati dovranno intraprendere dovranno necessariamente dovranno essere equipaggiati da competenze digitali. La rivoluzione digitale richiede competenze digitali a prescindere dal ruolo, quindi è auspicabile anche un minimo di semplificazione per la revisione dei percorsi formativi. L’intera filiera formativa nazionale dovrebbe essere in grado di poter introdurre momenti di formazione sulle competenze digitali”.

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