Casa, affitti, lavoro, giovani e... Così Renzi cambia l'Italia
Cosa cambia con il piano casa
Il governo ha deciso di tagliare la cedolare secca che si paga sugli affitti al 10%. E' quanto si legge, apprende l'AGI, nella bozza del piano casa che andrà mercoledì al Consiglio dei Ministri. Attualmente la cedolare secca è pari al 21%, ma viene ridotta al 19% per i contratti convenzionali e cala al 15% se gli immobili si trovano nei comuni con scarse disponibilita' di abitazioni. Il decreto prevede che l'aliquota sia fissata al 10% anche per gli immobili affittati "nei confronti di cooperative o enti senza scopo di lucro" purche' "sublocate a studenti universitari con rinuncia all'aggiornamento del canone di locazione o assegnazione".
Il Governo emanera' le procedure di alienazione degli immobili di proprieta' degli istituti autonomi per le case popolari. Lo prevede la bozza del piano casa che fissa entro il 31 marzo i termini entro cui il Ministro dell'Economia e il Ministro per gli Affari Regionali (previa intesa della Conferenza unificata) approveranno le procedure. Le risorse andranno alla realizzazione di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica o a interventi di "manutenzione". Il decreto prevede anche l'istituzione di un apposito Fondo destinato alla concessione di contributi in conto interessi su finanziamenti per l'acquisto delle case popolari. Verra' finanziato dal 2014 al 2020 con 18,9 milioni di euro l'anno.
Oltre 250 milioni di euro in sei anni per il fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli. E' quanto prevede la bozza del 'piano casa' che dovrebbe essere licenziato mercoledì dal Consiglio dei ministri. La dotazione del fondo, si legge nella bozza, e' "aumentata di 251,7 milioni di euro, di cui 19,6 nel 2014, 16,6 nel 2015, 63,6 nel 2016, 49,9 nel 2017, 46,1 nel 2018 e nel 2019 e 9,5 nel 2020".
Cambiano cassa integrazione e ammortizzatori sociali
E' il cuore della riforma promessa da Renzi anche perché è quella che meno rischia di essere rivista dopo il richiamo della Ue. Secondo l'ideatore del Piano, Stefano Sacchi, le modifiche sarebbero a costo zero perché gli ammortizzatori sociali verrebbero finanziati dalla progressiva scomparsa della cassa integrazione in deroga. Si tratta della Naspi: un sussidio di disoccupazione universale per tutti coloro che perdono il lavoro, compresi i circa 400mila collaboratori a progetto che oggi non hanno alcun sostegno. Il sussidio - come spiega Repubblica - spetterà a tutti coloro che perdono il posto e hanno lavorato almeno tre mesi. La Naspi durerà la metà dei mesi lavorati negli ultimi 4 anni per un massimo di due anni; al massimo sei mesi, invece, per gli atipici (nella presunzione che oltre l'anno di lavoro si configuri un contratto di lavoro subordinato e non una semplice collaborazione). L'entità del sussidio sarà per tutti nell'ordine dei 1.100-1.200 euro mensili all'inizio del periodo di copertura per poi calare fino a 700 euro.
Con il livello di disoccupazione attuale, però, è possibile che neppure due anni bastino a trovare lavoro. L'idea è quindi quella di aggiungere un assegno di disoccupazione a tutela di chi esaurisce la Naspi: un sussidio che dovrebbe essere garantito solo a chi si trova in condizioni di effettivo bisogno sulla base dell'Isee. Le risorse andrebbero reperite nella razionalizzazione della Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, mentre la Cassa in deroga verrebbe progressivamente assorbita nel Naspi. Le resistenze più forti al progetto arrivano dalle parti sociali ancorate su un'impostazione lavorista del sussidio, anche quando c'è il rischio di tenere in piedi rapporti di lavoro destinati a morire. Impossibile che nel piano per il lavoro venga inserito il Reddito di inclusione sociale attiva (Reis): il sostegno per le famiglie povere costerebbe 7 miliardi di euro l'anno. Possibile, invece, che si pensi di partire con il sostegno a 400mila famiglie con una spesa di circa 1,5 miliardi di euro l'anno. Gli economisti che hanno lavorato al piano suggeriscono, però, al premier di mettere in agenda un percorso per arrivare al Reis entro la fine della legislatura.
Contratto unico di lavoro
Un'altra riforma a costo zero è la riduzione della giungla dei contratti di lavoro: oggi ne esistono almeno 40. L'idea è di arrivare al contratto unico a tempo indeterminato e a tutele crescenti. Senza quindi le tutele previste dall'articolo 18 per almeno i primi tre anni: si rinuncia così ai ricorsi giudiziali in caso di licenziamento - a meno che non si tratti di discriminazione o mobbing - anche perché il lavoratore avrebbe immediatamente accesso al Naspi. Si pensa anche a un risarcimento proporzionale al progredire del contratto. Sul tavolo anche il contratto a tempo determinato che sarebbe però limitato ad alcuni settori, come i lavoratori stagionali, mentre è più difficile che si arrivi al salario minimo legale: ci sono da superare le resistenze dei sindacati che temono la fine dei contratti nazionali. Tra l'altro Renzi sta già incontrando le resistenze dei sindacati sul fronte della riforma della Cassa integrazione: la rinuncia - momentanea - al salario minimo potrebbe quindi diventare merce di scambio per avere il via libera alla Naspi in cambio della cassa in deroga. Di certo il governo proverà a superare tutti i difetti della riforma Fornero togliendo le scuse alle aziende che ancora non assumono.
Agenzia unica e garanzia giovani
Nel Jobs Act è previsto un nuovo codice del lavoro e l'Agenzia unica federale che servirà a sviluppare la "Garanzia per i Giovani" chiesta dalla Ue che ha invitato tutti gli Stati membri ad assicurare ai giovani con meno di 25 anni un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato, tirocinio o altra misura di formazione, entro 4 mesi dall'uscita dal sistema di istruzione formale o dall'inizio della disoccupazione. In generale l'obiettivo è quello di offrire una risposta ai ragazzi e alle ragazze che ogni anno si affacciano al mondo del lavoro dopo la conclusione degli studi. Considerato lo specifico contesto italiano tale iniziativa prevede, inoltre, anche azioni mirate ai giovani disoccupati e scoraggiati, che hanno necessità di ricevere un'adeguata attenzione da parte delle strutture preposte alle politiche attive del lavoro.
Le coperture alla spesa
Complessivamente per portare avanti le riforme del Jobs Act servirebbero una decina di miliardi di euro l'anno in attesa di completare la razionalizzazione dell'istituto della Cassa integrazione. Il piano di tagli partirà per forza dal dossier Cottarelli che giace al ministero dell'Economia. I più ottimisti parlano di un taglio della spesa pubblica di 10 miliardi di euro l'anno, più realisticamente il governo Letta aveva indicato nel documento Impegno Italia risparmi per 13 miliardi in due anni. A questi si possono aggiungere 1,5 miliardi stimati dal rientro di capitali e 3-5 miliardi di proventi in arrivo dal risparmio interessi sul debito pubblico con il calo dello spread, ormai stabilmente sotto quota 180 punti. Numeri che ancora non sono conteggiati nella Legge di Stabilità 2014 e che - nonostante i richiami della Ue - potrebbero dare ossigeno alla casse dello Stato. A questo si aggiunge la speranza di una crescita un po' più robusta delle attese con una riduzione del deficit intorno al 2,7% del Pil che si tradurrebbe in altri 5 miliardi di euro. Tutti i risparmi in più verrebbero impiegati per il reddito di sostegno alle famiglie e per aumentare le detrazioni fiscali.