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Economia
Pil giù non solo in Italia. La mappa. Rallentano Parigi, Madrid, Berlino e..

L’economia italiana è nuovamente in recessione tecnica, ma il rallentamento della crescita è sempre più evidente a livello europeo e mondiale. La conferma è giunta oggi con la comunicazione da parte dell’Istat dei dati provvisori del Pil italiano nel quarto trimestre 2018, chiuso con un calo dello 0,2% rispetto al terzo trimestre. Una variazione peggiore delle attese di consenso (che parlavano di -0,1%) e che segue il calo dello 0,1% del trimestre precedente.

La variazione tendenziale (ossia il raffronto del quarto trimestre 2018 sul quarto trimestre 2017) è pari a +0,1%, mentre la variazione acquisita del Pil per il 2019 (ossia quella che si otterrebbe a fine anno se non mutassero i trend in essere) è pari a -0,2%, cosa che rende ancora più difficile per il governo centrare l’obiettivo ufficiale di una crescita del Pil dell’1,5% per l’interno 2019.

La debolezza italiana si inserisce in un quadro congiunturale meno brillante del previsto di tutta Europa, cui si affiancano segnali di rallentamento anche negli Stati Uniti e in Cina, cosa che rischia di pesare anche sull’export tricolore, finora unico vero punto di forza dell’economia italiana, stante la perdurante debolezza della domanda interna.

Secondo Eurostat, infatti, il Pil di eurolandia lo scorso anno è salito del 1,8% rispetto al +2,4% segnato nel 2017, con un incremento di solo lo 0,2% nel quarto trimestre rispetto al terzo, ovvero dell’1,2% su base tendenziale (contro un +1,6% segnato tre mesi prima). Tra i singoli paesi, la Francia ha già fatto sapere di essere cresciuta dello 0,3% nel quarto trimestre ovvero dell’1,5% su base tendenziale, grazie solo all’exploit delle esportazioni (salite su base trimestrale del 2,4%, ovvero con un contributo pari allo 0,7% in termini di crescita tendenziale del Pil).

Sulla domanda interna francese (cresciuta dello 0,9% nel 2018, il dato più debole dal 2014) sembrano aver pesato sia la crisi di fiducia sfociata nella protesta dei “gilet gialli” sia la nuova crisi del settore costruzioni, nuovamente in recessione tecnica (essendo calato dello 0,4% nel quarto trimestre dopo il -0,1% dei tre mesi precedenti). Un andamento nel complesso deludente che ha già portato gli analisti di ING a ridurre a +1,3% la variazione attesa del Pil francese per quest’anno.

La Spagna pur continuando a correre (le prime stime parlano di un Pil cresciuto dello 0,7% nel quarto trimestre ovvero del 2,5% nell’intero 2018) lo fa ad un ritmo più lento di quello dei precedenti tre anni (quando non si sono mai avuti incrementi inferiori al 3% annuo) nonostante il calo della disoccupazione al 14,45%, il minimo degli ultimi 12 anni, e le attese di un ulteriore aumento delle esportazioni e dei consumi che sembrano aver sostenuto il dato dell’ultimo trimestre (in frazionale accelerazione rispetto al +0,6% dei precedenti tre mesi).

Per il 2019, tuttavia, la crescita spagnola dovrebbe ulteriormente frenare e non superare il 2,2% secondo le previsioni della Banca di Spagna. Infine la Germania, dopo aver visto il Pil calare per la prima volta dal 2015 dello 0,2% nel terzo trimestre, dovrebbe aver registrato secondo la Bundesbank una lievissima variazione positiva del Pil nel quarto trimestre, ma ha già segnalato come le vendite al dettaglio siano calate del 2,1% su base tendenziale a dicembre dopo l’incoraggiante +1,9% di novembre. Un dato che ha gelato le speranze di una pronta riaccelerazione della principale economia del vecchio continente e che è stato seguito dall’aggiornamento delle stime del ministero dell’Economia tedesco, tagliate per l’intero 2019 da +1,8% a +1%.

Pesano sulle previsioni il crescente impatto delle politiche protezionistiche (che minacciano in particolare il settore auto) e il rischio Brexit, particolarmente insidioso essendo la Germania e l’Europa tutta un esportatore netto verso il Regno Unito. Così nel caso si arrivasse a un Brexit “dura”, con la chiusura quasi completa, sia pure solo per alcuni trimestri, Berlino e l’intera eurozona potrebbero facilmente entrare in recessione. Uno scenario che minaccia particolarmente l’Italia che per via del gap di produttività accumulatosi dall’inizio degli anni ‘90 ad oggi dopo essere stata l’ultima delle grandi economie europee a riprendersi dalla crisi mondiale del 2008 rischia di essere una delle prime a tornare a soffrire.

Tanto più che pure oltreoceano le cose non stanno andando così bene. Gli Stati Uniti, che a causa dello “shutdown” degli uffici pubblici durato 35 giorni debbono ancora pubblicare il dato ufficiale sul Pil del quarto trimestre, dovrebbero secondo le attese di consenso aver visto la crescita calare al 2,9% annualizzato (dal 3,4% del terzo trimestre, già in frenata rispetto al +4,2% toccato nel secondo trimestre). La Cina ha invece dichiarato che il Pil lo scorso anno è cresciuto del 6,6%, dato che è comunque il più debole degli ultimi 28 anni e che mostra un progressivo rallentamento in corso (la variazione tendenziale è passata dal +6,5% del terzo trimestre al +6,4% del quarto trimestre).

Inoltre, come nota Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners, l’apparente tranquillità delle autorità di Pechino stride con vendite di auto, telefoni e case ormai in calo oltre che “con l’affanno con cui viene immessa nel sistema un’enorme massa di nuova liquidità”. Il pericolo di cui ancora pochi parlano è che se la frenata in atto in tutto il mondo si trasformasse in una vera e propria recessione, a soffrire di più sarebbe proprio l’Europa, a causa di norme pro-cicliche che impongono politiche di austerità quando servirebbero misure espansive. Per un paese come l’Italia dove il peso del debito pubblico sul Pil resta ampiamente sopra il 130%, l’austerità si rivelerebbe una cura letale, facendo salire nuovamente sia tale rapporto sia gli spread sui tassi.

 

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