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Economia
Riforma pensioni, Ape: a chi conviene, a chi no. Pensioni, riforma: i punti

Riforma Pensioni ormai pronta. Ecco che cosa prevede esattamente l'Ape: a chi conviene e a chi no l'uscita anticipata dal lavoro.

Uscire dal lavoro in anticipo grazie all'Ape è un percorso che necessità di tre requisiti: almeno 63 anni di età; maturazione dei requisiti per l’assegno di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi; importo della pensione non inferiore a un certo limite, ancora da definire.

L'Ape, ovvero l'anticipo pensionistico è un prestito erogato in rate mensili da una banca in favore del pensionando, a copertura del periodo che intercorre tra l'addio al mondo del lavoro e il raggiungimento dei requisiti standard per la pensione di vecchiaia. Terminata l’erogazione del prestito inizierà la fase del rimborso in rate mensili per i seguenti venti anni.

L'Ape - come si legge su http://www.today.it - potrà essere richiesta soltanto in tre situazioni: per scelta del lavoratore che, pur non essendo in difficoltà, vuole lasciare l’impiego (Ape volontaria); per i lavoratori in condizioni di maggior bisogno, quali disoccupazione, problemi di salute, necessità di assistere famigliari (Ape social); in caso di crisi di azienda o comunque per facilitare il turnover dei dipendenti (Ape aziendale).

Il Sole 24 Ore ha analizzato i costi dell'operazione, stilando le conseguenze per le varie categorie professionali considerando che in ogni caso si va verso una riduzione permanente dell’importo della pensione rispetto a quello a cui si avrebbe diritto se si continuasse a versare i contributi fino al raggiungimento dei requisiti di vecchiaia.

    APE AZIENDALE
    Carlo, raggiunge un’accordo con l’azienda per l’uscita anticipata
    Pensione lorda mensile: 2.000 euro; Ape netto: 1.435; Pensione netta percepita dopo 20 anni: 2.018

    Andrea, si trova coinvolto in una crisi d’impresa da cui ne esce con contributo del 60%
    Pensione lorda mensile: 2.000 euro; Ape netto: 1.435; Pensione netta percepita dopo 20 anni: 2.018

    APE VOLONTARIA
    Paolo, lavora come quadro in azienda privata
    Pensione lorda mensile: 2.615 euro; Ape netto: 1.770; Pensione netta percepita dopo 20 anni: 2.383

    Giacomo, dopo una lunga carriera vuole più tempo libero
    Pensione lorda mensile: 2.165 euro; Ape netto: 1.025; Pensione netta percepita dopo 20 anni: 2.383

    Simona, ha avuto impieghi sempre di livello medio-alto
    Pensione lorda mensile: 5.000 euro; Ape netto: 3.009; Pensione netta percepita dopo 20 anni: 4.141

    Chiara, dirigente, sceglie un anticipo di importo ridotto
    Pensione lorda mensile: 5.000 euro; Ape netto: 1.742; Pensione netta percepita dopo 20 anni: 4.141

L’importo massimo che si potrebbe chiedere dovrebbe essere il 95% della pensione. Una volta raggiunto il diritto per il trattamento di vecchiaia, questo sarà ridotto per via dei contributi non versati e per il “peso” della rata mensile del prestito da restituire. Questi ultimi due oneri, nel caso dell’Ape social, cioè per i lavoratori in difficoltà, sarebbero interamente a carico dello Stato (almeno fino a un determinato importo dell’anticipo).

Se l’Ape è una scelta volontaria, tutti gli oneri saranno a carico del lavoratore, mentre nel caso di Ape aziendale l’impresa può contribuire a coprire i costi tramite il versamento di contributi che andranno a determinare un incremento della pensione che compenserà l’onere dell’anticipo. Rispetto alle ipotesi circolate finora, nel verbale di ieri si ipotizza di ricorrere a questo strumento per favorire il turnover del personale, che è una situazione più ampia della mera crisi aziendale, dato che anche in un momento di buona salute un’impresa può decidere di favorire l’ingresso di nuovi dipendenti in sostituzione di quelli prossimi alla pensione.

Tra i costi c’è il prestito, per il quale, sulla base delle indicazioni emerse nei mesi scorsi, si può ipotizzare un tasso annuo nominale del 3 per cento. C’è anche il premio assicurativo che deve essere stipulato a copertura del rischio di premorienza del lavoratore-pensionato e che può essere ipotizzato pari al 30% del valore dell’Ape. Inoltre c’è un “costo previdenziale” determinato dal fatto che si rinuncia a versare l’ultimo periodo di contributi.

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