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Economia
Società partecipate: quali si potrebbero tagliare e quanto si risparmierebbe
Giancarlo Giorgetti

Partecipate: ecco quali si potrebbero vendere

Nel 2014, dopo un anno di lavoro, il Commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli presenta un piano: le partecipate pubbliche devono ridursi da 8 mila a 1.000. Risparmio possibile: 3 miliardi di euro. Il governo Renzi, tuttavia, non attua il piano e Cottarelli si dimette. Due anni dopo, l'esecutivo approva il «Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica» (d.lgs. 175 del 19 agosto 2016), successivamente modificato dal Governo Gentiloni per correggere le criticità costituzionali. Cosa prevede la legge: con la nuova normativa, una pubblica amministrazione può costituire, acquisire o mantenere una società partecipata solo se ciò risponde a ragioni di interesse pubblico o alle proprie finalità istituzionali. Le amministrazioni sono obbligate a vendere, chiudere o accorpare le proprie partecipazioni se rientrano in società che sono: 1) prive di dipendenti; 2) con più amministratori che dipendenti; 3) svolgono attività analoghe ad altre partecipate o enti pubblici; 4) con un fatturato medio inferiore a un milione di euro negli ultimi 3 anni; 5) con quattro degli ultimi cinque bilanci negativi. La scadenza iniziale era alla fine del 2018, successivamente prorogata al 2021 e poi al 2022. Tuttavia, il 18% degli enti non ha risposto alla richiesta di dati del MEF.

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Con i dati a disposizione, il MEF elabora un rapporto ogni anno. L'ultimo, pubblicato a gennaio 2023, mostra la situazione a fine 2020. Le amministrazioni pubbliche con partecipazioni e soggette alla nuova legge sono 12.877. Si tratta di Comuni, Province, Regioni, Città metropolitane, Camere di commercio, ministeri, ordini professionali, università, e enti locali del servizio sanitario. Solo 10.592 di queste amministrazioni, il 18%, hanno inviato i dati al MEF, mentre il resto ha ignorato la richiesta.

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Tra i meno collaborativi ci sono i Comuni con meno di 50 mila abitanti e gli ordini professionali. Tra le amministrazioni inadempienti, sorprendentemente, c'è il ministero dell'Istruzione, detentore del 20% della Tecnoalimenti di Milano e del 40% della Next Technology Tecnotessile di Prato. Le amministrazioni pubbliche hanno attualmente partecipazioni in 5.260 società, con 39.989 partecipazioni, principalmente dirette. Tra queste ci sono Aci, aeroporti, case editrici, società di servizi pubblici per l'acqua e gestione rifiuti, case di cura, associazioni culturali, enti di ricerca, società di sviluppo territoriale, e gestione di enti fieristici, fondazioni, cooperative, enti sportivi.

Di queste, 1.201 risultano inattive o in liquidazione, e il 67% di esse ha procedure aperte da oltre 5 anni. Il MEF analizza 26.821 partecipazioni tra le 39.989, riconducibili alle 3.240 società costituite prima del 23 settembre 2016 e con 5 bilanci d'esercizio completi. Il 44,3% di queste partecipazioni non rispetta uno o più parametri previsti per il mantenimento in vita (11.872 partecipazioni).

Le società in questione comprendono 559 senza dipendenti, come la Boniter, che si occupa di gestione immobiliare e partecipata da diversi consorzi di bonifica veneti, e 327 società con più amministratori che dipendenti, come la Massa Martana Carni al 100% del Comune umbro di Massa Martana. Inoltre, ci sono partecipazioni in 287 società che hanno registrato 4 bilanci negativi negli ultimi 5 anni, e più della metà degli enti ha dichiarato di volerle mantenere attive. Tra queste, la Raccordo autostradale Valle d'Aosta al 42% della Regione Valle d'Aosta e la Società autostrada Broni-Mortara, partecipata indirettamente dalla Regione Lombardia. La lista continua con partecipazioni in 1.149 società che hanno un fatturato medio nell'ultimo triennio inferiore a 1 milione di euro, come la Asp che si occupa di fornitura di energia elettrica e gas ed è partecipata all'80% dal comune di Polverigi (Marche).

La legge prevede che le società controllate dagli enti debbano essere chiuse o accorpate, altrimenti le partecipazioni dovrebbero essere vendute. Tuttavia, la legge prevede numerose deroghe, ad esempio per le società quotate, quelle che gestiscono un patrimonio immobiliare, fanno sperimentazione sanitaria, gestiscono fondi europei, progettano opere pubbliche o producono energia rinnovabile. La Corte dei Conti ha scritto nel suo rapporto del 2020 che le scelte «restano affidate all'autonomia e alla discrezionalità degli enti soci, in quanto coinvolgono profili gestionali/imprenditoriali rimessi alla loro responsabilità».

In molti casi, l'attività della partecipata potrebbe essere svolta dall'ente o andare avanti anche senza la presenza del pubblico. Tuttavia, centinaia di amministrazioni mantengono le quote, aggirando il patto di stabilità o piazzando nei consigli di amministrazione le loro clientele ed ex politici. Solo 275 delle 3.000 società che avrebbero dovuto chiudere secondo la legge del 2016 sono state messe in liquidazione o hanno avviato la procedura di chiusura, coinvolgendo 1.942 partecipazioni, mentre quasi mille sono ancora attive.

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