Economia
Tornano le Winx, parla il creatore Iginio Straffi: "La politica non vuole investire nell'animazione. Il no più grande? Me l’ha dato proprio la Rai"
Le Winx tornano con un reboot globale tra Netflix e Rai, ma l’animazione italiana arranca: pochi investimenti dalla politica e troppe incognite sul tax credit. Parla Iginio Straffi, regista, produttore e presidente di Rainbow






Iginio Straffi, fondatore e CEO del Gruppo Rainbow

Iginio Straffi, fondatore e CEO del Gruppo Rainbow
Winx, il ritorno su Netflix e Rai. L'intervista al creatore e fondatore di Rainbow, Iginio Straffi
Nel 2004 l’Italia regalava al mondo sei fatine dalle ali glitterate. Bloom e le sue amiche atterravano su Rai 2 e da lì – tra serie animate, film, spin-off e merchandising – volavano dritte nel cuore di milioni di fan in oltre 150 Paesi. Oggi, vent’anni dopo, le Winx sono pronte a rinascere con un reboot nuovo di zecca, in arrivo in tutto il mondo il 2 ottobre su Netflix e in italia dall’autunno su Rai. Un segno che la magia funziona ancora, se dietro c’è una visione solida. E la visione è quella di Iginio Straffi, imprenditore marchigiano, mente e motore di Rainbow.
Sì, perché dietro quelle ali c’è molto più che polvere di fata. C’è un gruppo nato nel ’95 che oggi mette insieme animazione, live action, VFX e formazione, con basi tra l'Italia e Canada. E poi ci sono i successi su Netflix, come Il fabbricante di lacrime, primo film italiano a raggiungere la vetta mondiale della piattaforma.
Nel frattempo, il cinema italiano continua a parlare di rilancio ma resta al palo. Il sistema di tax credit, pensato per sostenere i produttori indipendenti, finisce per premiare soprattutto le multinazionali straniere. Il risultato? Tante parole, pochi fatti. Ma allora come si tiene davvero insieme creatività e industria? Affaritaliani.it l'ha chiesto a chi, da vent’anni, non smette di inventare mondi: Iginio Straffi.

Winx, Straffi: "Oggi i bambini sono più distratti, ma le Winx erano avanti già 20 anni fa"
Torniamo al 1995. Che cosa avrebbe pensato il giovane Iginio del successo ventennale delle Winx, della collaborazione con Netflix e di un Gruppo Rainbow da oltre 100 milioni di fatturato nel 2024?
Quando siamo partiti con le Winx, c’era un obiettivo un po’ ambizioso: farle durare il più a lungo possibile. Avevo scritto tutta la bibbia della serie per ben tre stagioni, da 26 puntate ciascuna. Quindi 78 episodi, più il soggetto del film che avrebbe rivelato tutto il segreto delle origini di Bloom, dei suoi genitori biologici eccetera. Insomma, ero partito con l’idea di realizzare una saga. L’obiettivo era costruire un brand, farlo durare, e se la prima serie avesse avuto successo bisognava subito mettere in produzione la seconda, senza perdere altri tre anni a riscrivere tutto da capo.
Però, detto questo, guardandosi indietro, sicuramente da allora abbiamo fatto tante cose. Alcune bene, perché siamo cresciuti e siamo diventati un gruppo importante nel panorama dell’audiovisivo e del cinema italiano. Altre magari le abbiamo sbagliate, e col senno di poi avremmo saputo come farle meglio. Ma se devo fare un bilancio, penso che quel prodotto ci abbia portato a ottenere tanti buoni risultati.
Che cosa mancava allora all’animazione per ragazze? Secondo lei, oggi è possibile replicare un successo simile?
Noi sicuramente abbiamo colmato una mancanza del mercato. C’era abbondanza di prodotti con supereroi e protagonisti maschili, ma mancavano le eroine nell’immaginario collettivo femminile. Questa è stata sicuramente una grande intuizione. Però, se mi posso permettere, col senno di poi si capisce che le Winx avevano anche elementi straordinariamente innovativi per l’epoca. Intanto lo storytelling orizzontale, un po’ come fanno i giapponesi: la coming-of-age, come dicono gli americani, un romanzo di formazione in cui seguiamo la protagonista e i suoi amici che si evolvono, crescono, imparano dagli errori e dai successi.
Questo, per il prodotto occidentale, era una rivoluzione. I broadcaster ci chiedevano sempre storie autoconclusive, mentre noi abbiamo proposto un percorso narrativo orizzontale. Poi abbiamo ribaltato molte dinamiche classiche, anticipando un trend: i ‘belli addormentati’ erano i maschi, e le eroine erano le femmine che li risvegliavano dal loro ‘sonno’ e diventavano protagoniste attive. E poi il potere delle donne non era solo quello di difendere la Terra o la Dimensione Magica, ma anche quello di essere autonome, autosufficienti, capaci di risolvere tutto senza l’aiuto di maschi, genitori o altro.
Anche gli atteggiamenti erano innovativi: c’erano episodi inclusivi, in cui personaggi emarginati venivano accolti dalle Winx e diventavano parte del gruppo. E poi i temi ecologici, che ci sono sempre stati nei prodotti Rainbow e che oggi sono ancora più attuali. Insomma, c’erano tanti elementi dirompenti e originali, soprattutto rispetto al panorama di 21-22 anni fa.
E ora torneranno…
Dopo tanti anni, torneranno, appunto, come cartone animato, ma con una tecnica nuova. In live action abbiamo realizzato due serie Fate: The Winx Saga su Netflix, che sono andate molto bene. Questo ci ha confermato quello che già sapevamo: c’è un pubblico enorme in tutto il mondo, formato dai bambini di vent’anni fa che oggi sono adulti e hanno seguito con piacere quel prodotto pensato proprio per loro, non per i bambini. Ora invece torniamo alle origini, nel senso che vogliamo creare un prodotto per le nuove generazioni. Anche perché sono passati sette anni dall’ultimo cartone delle Winx, e crediamo che sia arrivato il momento di riconnettersi con i giovani di oggi.
Ma è molto più difficile arrivare a quel pubblico: i bambini dell’età target Winx, cioè quelli in età scolare ma un po’ più grandi, sono distratti da mille forme di intrattenimento digitale – YouTube, TikTok, Twitch – e sono sparpagliati, si distraggono facilmente. Non seguono più come una volta una storia complessa come quella delle Winx. Guardano anche meno film animati al cinema rispetto a dieci anni fa. Quindi, ritrovare quel pubblico sarà un’impresa. Siamo felici di avere una community di young adult così fidelizzata in tutto il mondo, ma vogliamo anche parlare alle nuove generazioni.
Che cosa può funzionare davvero sulle nuove generazioni? Si parla spesso di soglia d’attenzione bassa: il problema è che manca la voglia di seguire un prodotto a lungo, magari anche solo di attendere l’episodio successivo?
Sono abituati, purtroppo, a guardare contenuti brevi, di pochi minuti, e poi cambiano, ne guardano subito un altro. Questo è un po’ il vero problema. Diciamo che noi ce l’abbiamo messa tutta perché questa nuova serie delle Winx possa avere quegli elementi di fascino capaci di attrarre anche le nuove generazioni, che vogliono seguire comunque le vicende di queste giovani fate alle prese con le cattive della scuola, queste bullette che sono le streghe, e che in realtà hanno fini molto più grandi di quello che sembra. Anche se si parla di scuole per fate o streghe, sono metafore di ciò che accade davvero nelle nostre scuole. Anche i rapporti che le Winx hanno con i loro genitori sono molto simili a quelli reali.
Quindi ci sono elementi che possono rendere piacevole e interessante per le nuove generazioni appassionarsi a questa storia e voler entrare a far parte di quel mondo. Come dicevo, è tutto maledettamente più difficile. E poi c'è anche da tenere in conto il netto calo demografico. Nei paesi occidentali, dove noi siamo più forti, il calo delle nascite è evidente: 21 anni fa non dico che le nuove nascite fossero il doppio rispetto ad oggi, ma quasi. Se guardiamo le statistiche, i bambini nati attorno al 2000, quindi quelli che hanno seguito le prime serie delle Winx, erano molti di più rispetto a quelli nati nel 2019 o 2020.
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Oggi Rainbow è un gruppo internazionale. Che cosa è stato decisivo in questo percorso: la creatività, la visione industriale o la capacità di resistere alle difficoltà?
La visione ci ha sicuramente aiutato. Fin dall’inizio abbiamo scelto di essere un’azienda che cerca di creare brand, le cosiddette IP, proprietà intellettuali, che vadano oltre il tempo e oltre la semplice trasmissione televisiva o su piattaforma. Noi cerchiamo di creare un mondo a 360 gradi, dove ci sia la possibilità di apprezzare le Winx o altri personaggi anche al di fuori del cartone animato: nei libri, nei fumetti, nei videogiochi e così via. Noi abbiamo sempre lavorato per costruire mondi, saghe, progetti con un percorso lungo.
Inoltre ci siamo molto diversificati, ed è stata un’altra strategia vincente: ci ha reso più resistenti alle crisi. Ad esempio, durante la pandemia abbiamo avuto problemi con il licensing, i negozi erano chiusi, le vendite crollate, ma dall’altro lato avevamo società come Bardel in Canada che offrivano servizi di produzione e registravano un boom. Le piattaforme come Netflix avevano una richiesta altissima di contenuti a causa del lockdown, e quindi lì aumentavamo i fatturati. Insomma, mentre da una parte eravamo in difficoltà, dall’altra crescevamo. Le nostre strategie si sono rivelate azzeccate, ed è anche per questo che siamo ancora qui, trent’anni dopo la fondazione di Rainbow.
Winx, Iginio Straffi: "Nessuno investe nell’animazione. A parte Netflix e Rai, non c'è volontà dalla politica"
L’Italia è ancora un buon posto dove fare animazione e cinema? Produrre qui conviene ancora o la burocrazia e la lentezza istituzionale stanno spingendo via anche i più strutturati?
Sì, sta diventando sempre più complicato. Il problema numero uno, che dico sempre, è che in Italia non c’è certezza della legge: cambiano tutto troppo spesso, e lo fanno perfino retroattivamente. Ho aziende anche all’estero, in Nord America, in Canada, dove abbiamo grossi studi. E lì ci sono sussidi pubblici, tax credit e altri incentivi, ma ogni volta che cambiano qualcosa, avvisano le aziende con un anno di anticipo. Non cambiano mai in corsa, e le modifiche avvengono ogni 7-8 anni, non ogni anno o due come in Italia. Questo ti permette di fare vere strategie industriali e di adattarti con il tempo.
Poi ci sono i soliti ritardi nell’erogazione del tax credit e in tutte le forme di contributo automatico che magari sono stati assegnati da anni, ma non arrivano. E infine c’è un altro grande problema: in Italia, tranne Rai e un po’ Netflix, nessuno investe davvero nel prodotto audiovisivo italiano, soprattutto nell’animazione. Per il cartone animato, in particolare, c’è solo la Rai. Qualche esperimento Netflix lo ha fatto, e anzi è uno dei player più propensi a investire in contenuti italiani. Ma altrove? Nessuno. Né le altre piattaforme, né i broadcaster, né le pay TV, né i canali tematici hanno l’obbligo di farlo. Ed è un limite enorme.
Secondo lei perché?
Siamo lontani da una vera volontà politica di investire nell’animazione, questo è certo. Secondo me, bisognerebbe almeno rafforzare il ruolo della Rai. Servirebbero fondi molto più importanti, come avviene in altri Paesi: i fondi pubblici destinati alla Rai sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli che ricevono BBC, ZDF o France Télévisions. Una Rai più forte andrebbe a beneficio dell’intero sistema, ma anche della tutela dell’identità culturale italiana, che dovrebbe stare a cuore proprio a questo governo.
È ovvio però che, nel momento in cui aumenti i fondi alla Rai, devi anche vigilare su come vengono spesi. Bisogna premiarne l’uso corretto, basato sul merito, e non su logiche clientelari o politiche. E poi c’è un’altra cosa: se riuscissimo almeno a introdurre una sotto quota obbligatoria, cioè una percentuale minima degli investimenti annuali destinata all’animazione e ai prodotti per l’infanzia, saremmo già a un buon punto.
Oggi tutto ricade sulla Rai, che ha un budget limitatissimo. Questo coinvolgerebbe tutte le piattaforme e le emittenti private, senza richiedere maggiori investimenti da parte dello Stato. Sarebbe una sorta di 'colletta' strutturale: ognuno contribuisce, e così si raddoppia o triplica il supporto al settore. È strano che una cosa del genere non esista, perché bambini e famiglie dovrebbero essere una priorità trasversale per tutto l’arco parlamentare, e in particolare per un governo conservatore. E invece siamo sempre fermi allo stesso punto.
Quali rischi corre il settore se questa instabilità normativa continua?
I rischi sono già sotto gli occhi di tutti: il sistema è in stallo e tantissime aziende sono in difficoltà. Molta gente non lavora. Attenzione, però, perché abbiamo assistito anche al fenomeno opposto: c’è stata una vera e propria bolla legata al tax credit. Un meccanismo non ben regolamentato aveva portato a scandali e distorsioni, con finanziamenti a pioggia a società che non avrebbero dovuto averli. Questo ha generato una sovrapproduzione di opere spesso inutili, ma che comunque davano lavoro e creavano un’illusione di crescita. Poi però, finita la bolla, è arrivata una fase di totale stasi.
Oggi non esiste nemmeno la certezza di come sarà strutturato il nuovo tax credit. Se ne parla da mesi, ma i nuovi contributi selettivi e automatici ancora non si vedono. E questo frena tutto. Nel frattempo alla Rai continuano a tagliare i budget destinati alla produzione nazionale. Le piattaforme stanno facendo lo stesso, per motivi diversi: da un lato, l’approccio di Trump, che vorrebbe tutto prodotto negli Stati Uniti; dall’altro, una logica generale di taglio dei costi e massimizzazione dei profitti. Il risultato è che la macchina si è rallentata moltissimo.
È una strategia funzionale, quella di Trump, di produrre solo in casa propria?
Penso che sia un problema molto serio, su cui dovrebbero riflettere i politici. Le grandi multinazionali, se potessero, riempirebbero i loro palinsesti solo di prodotti americani. È nella loro natura. Ma si sono accorte che i contenuti audiovisivi domestici funzionano: per via degli attori locali, delle storie più riconoscibili, della lingua, del contesto culturale. È la stessa logica del cinema: certo, i blockbuster americani dominano, ma se vuoi riempire le sale con film come quelli di Cortellesi, devi anche produrre in Italia. E quando questi prodotti sono ben fatti, spesso funzionano anche all’estero.
Il problema è che oggi molti investimenti sono ridotti al minimo. Alcuni operatori producono uno o due progetti italiani all’anno. Con questo ritmo, è chiaro che non si costruisce niente. Per fortuna, grazie al ruolo della Rai e grazie a Netflix, che negli ultimi anni ha investito in maniera costante, molti produttori italiani continuano a lavorare. Ma resta imprescindibile il ruolo di una Rai forte, come avviene all’estero. Sono gli ultimi baluardi a difesa dell’identità culturale nazionale. Ovviamente, anche lì serve controllo e rigore.
Straffi: "L’IA va bene, ma la creatività non si rimpiazza"
L’intelligenza artificiale entra sempre più nei processi creativi, anche nell’animazione. Dove può essere utile e dove invece rischia di svuotare il lavoro artistico?
L’intelligenza artificiale è una grande rivoluzione, e porterà cambiamenti enormi anche nel nostro settore. così come in tante altre industrie. Ce ne accorgeremo tra qualche anno. Noi la stiamo studiando con attenzione, ma stiamo anche aspettando che arrivino regole chiare su cosa si possa fare e in che direzione andare. È indubbio: come successe con l’arrivo dei computer nell’animazione, anche stavolta ci sarà un impatto significativo.
Quando i computer hanno iniziato a colorare i disegni, a montare i livelli digitalmente e a generare un output digitale invece che su pellicola fotografata disegno per disegno, alcuni posti di lavoro sono andati persi. Tuttavia, nessuno ha realmente rimpianto quei tempi: si trattava di mansioni poco creative, estremamente ripetitive e di pura fatica. Allo stesso tempo, però, si sono creati nuovi ruoli e nuove opportunità, in ambiti prima inesistenti. Ora, chiaramente, un conto è usare l’AI nella parte ripetitiva, che può essere utile, un altro è applicarla alla parte creativa. Ecco, lì non credo sia giusto. E francamente non credo sia neanche possibile sostituire la creatività umana.
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Avete lavorato su altri prodotti di successo, con i Me Contro Te o il fenomeno globale de Il Fabbricante di Lacrime. Guardando avanti come vedi Rainbow nei prossimi cinque anni? Che cosa dobbiamo aspettarci?
Nei prossimi cinque anni vogliamo continuare a coprire un po’ tutto: produrre film importanti per il cinema, sia in Italia sia, dove possibile, per il mercato internazionale. Stiamo già sviluppando grandi serie live action tratte da romanzi molto forti. Ora, ad esempio, stiamo lavorando su Game of Gods, un altro titolo molto amato dai ragazzi, e su Io uccido di Giorgio Faletti, che è stato uno dei thriller più venduti degli ultimi cinquant’anni.
Abbiamo poi l’adattamento di Corto Maltese, un progetto a cui tengo in modo particolare perché è un personaggio che amo fin da quando ero adolescente. L’obiettivo è dargli nuova vita con una serie e dei film live action. Sul fronte animazione, oltre a Winx Club, stiamo lavorando a molte nuove serie e a sequel di titoli di successo. Mermaid Magic, ad esempio, è andata benissimo su Netflix, e stiamo già realizzando la seconda stagione. E poi abbiamo acquisito i diritti di diversi libri e fumetti importanti: uno in particolare lo annunceremo subito dopo l’estate, ed è un progetto da cui nasceranno serie tv, film e altri contenuti audiovisivi. Insomma, Rainbow continuerà a sviluppare prodotti per famiglie e ragazzi, mentre con Colorado vogliamo spingere ancora di più, non solo con film ma anche con belle serie.
Qual è stato il “no” più importante che ha ricevuto? Quello che le ha fatto cambiare rotta, o le ha dato una spinta?
Il “no” più importante è arrivato proprio all’inizio, quando presentai la mia prima serie animata, Tommy & Oscar, alla Rai. Avevamo iniziato a discutere di una coproduzione, all’epoca la Rai aveva appena iniziato a investire nei cartoni, ma dopo circa un anno di trattative ci dissero di no. Motivo: era un’opera nuova, da uno studio nuovo, non basata su un romanzo già noto, quindi troppo rischiosa per loro. È stata una batosta terribile, parliamo di 27 anni fa, e all’inizio ti sembra che ti crolli tutto il mondo addosso. Ma poi ho trovato la forza per andare avanti, cercando coproduttori all’estero. Alla fine siamo riusciti a produrre la serie senza l’aiuto della Rai, che poi però l’ha acquistata come podotto finito, spendendo un decimo rispetto a quanto sarebbe costato coprodurla dall’inizio, ma la serie ha registrato indici di ascolto molto più alti di altri cartoni co-prodotti.
E il “sì” più decisivo?
Quanto al “sì” più importante, direi quello del canale americano Fox, quando acquistò e mando in onda la prima serie delle Winx. Fu subito un successo anche in america e da lì siamo diventati visibili anche negli Stati Uniti, e tutto è cambiato: la percezione di Rainbow, il modo in cui venivamo considerati… e ovviamente anche i ritorni economici, che si sono moltiplicati.
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