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Spettacoli
The Irishman, Scorsese applica al canone gangster un viraggio intimista

Su The Irishman di Martin Scorsese si sono scatenate polemiche. In pratica si stanno delineando due visioni.

1) Lodi sperticate, poco profonde nell'analisi, che sembrano più che altro un omaggio meccanico alla bellezza e lo stupore di rivedere De Niro e Pacino insieme.

2) Stroncature.

Certe recensioni hanno mosso un'accusa a Scorsese. Scorsese, sul New York Times, ha criticato i film Marvel sui supereroi, dicendo che non sono cinema perché non rischiano mai qualcosa di diverso: si tratta di prodotti studiati a tavolino dagli esperti di marketing. Tali film invadono le sale, di fatto soffocando il resto della produzione. Insomma: adeguano il palato del pubblico allo stesso gusto, sempre uguale.

L'accusa di alcuni partiva proprio dalle dichiarazioni del regista per muovere un'obiezione non particolarmente brillante, e cioè: «Ma allora tu che fai sempre i film di gangsters? Cosa c'è di nuovo e diverso?!».

Bisogna considerare che Scorsese parla da americano. La cultura americana è ricca, ma molto chiusa e autoreferenziale. Noi, sebbene ampiamente colonizzati, abbiamo alternative. Loro no. È la condanna dei dominanti: essere prigionieri di sé stessi. Prendiamo il cinema. Qui arrivano opere dall'Asia, dalla Francia, dall'Inghilterra, dal Medio-Oriente, etc etc... Negli USA ciò avviene molto meno. Lì hanno davvero la dittatura dei supereroi sugli schermi. Esiste un problema enorme, per così dire,  di cinediversità.

Quindi Scorsese ha perfettamente ragione.

The Irishman è un film strano e interminabile. Dura tre ore e mezza e succede pochissimo. È il ritratto privato di un gangster tutto giocato su ridondanze, ripetizioni e rifrazioni narrative. A metà film mi sembrava che le sequenze iniziali risalissero a una settimana prima.
La produzione Netflix ha lasciato più libertà a Scorsese di quanto non avrebbe fatto Hollywood. A Hollywood nessuno avrebbe mai prodotto un film del genere. L'intervento di Netflix è un bene. È giusto fare opere diverse che si schiantino sul palato del pubblico per sconvolgerlo rispetto alla solita minestra. Proprio nell'ottica che Scorsese intende quando parla dei film Marvel.

La delusione semmai viene dal racconto. Il capitolo Jimmy Hoffa/Mafia/Sindacati è materiale storico, e quindi narrativo, di primo livello. Considerata la triade De Niro/Pacino/Scorsese poteva venire fuori qualcosa di enorme, storicamente più specifico, moralmente più ambiguo, artisticamente più totale. Che invece non arriva.

Avrebbe potuto essere al contempo un film working class, un gangster movie, un film politico e un dramma storico. Un'opera completa e ampia. Io lo avrei preferito, ma è solo un fatto personale e non significa nulla.

Scorsese ha compiuto una scelta. Usare il limite e percorrere solo un sentiero, sino in fondo. Applicare al canone gangster un viraggio intimista. Qualcosa che Brian De Palma aveva fatto con Carlito's way, ma portato alle estreme conseguenze di rarefazione narrativa.

The Irishman non è né bello, né brutto. Semplicemente mette la propria diversità sul tavolo e ti obbliga a un confronto. È un film che non assomiglia a niente di quello che è già stato fatto. Quindi, alla fine, va benissimo così.

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