Dagli Usa al Qatar... il mondo in fermento
Gennaio 2020.
In texas un nuovo deposito di oro è stato aperto dal ministero del tesoro, gli Usa accumulano oro da tutto il mondo. Mossa interpretabile come avvisaglia di possibile crisi globale.
In realtà è solo una conseguenza della divisione del potere, da un parte chi controllerà le politiche monetarie e quindi il governo con l’elezione del presidente.
Dall’altra chi gestirà gli asset strategici del paese
Per quanto i rumours sulla candidatura di Michelle Obama si fanno più intensi alimentando le pagine dei tanti giornali del vacuum politico attuale nelle stanze (o nei saloni) del potere vero e secolare che controlla l’America le famiglie sovrane hanno deciso. Bloomberg sarà il candidato.
Trump ha fatto un buon lavoro per una serie di grandi interessi , se dovrà tornare a casa non dovrà temere contraccolpi. Nessun problema -fino a prova contrari-a ad un lauto viatico ai suoi tanti affari su cui la presidenza ha funzionato come la più alta advisorship mai possibile su i tavoli della geoeconomia.
Ma a gennaio 2020, il giorno dopo l’elezione sarà il medio oriente il vero teatro da osservare, uno scenario che vede il declino prossimo venturo di Dubai nonostante l’Expo. I contratti di gestione su Dubai per il commercio di aziende estere non arrivano oltre giugno 2020.
In Qatar le più grandi opere civili realizzate sono in opere da ‘tempo di guerra’: un deposito di riso acqua e olio per mantenere 4 anni la popolazione in caso di ‘problemi’.E così via.
Dividono la terza più grande bolla di gas del mondo con i loro dirimpettai sul Golfo, l’Iran (2/3 al Qatar, 1/3 all’Iran), riserva a longevità calcolata fino a 250 anni.
In sostanza , un alleanza decisa geologicamente più che su comunanza di fede pro-sciita.
Spirano per questo venti di (inutile) guerra che contrappone il fronte Qatar – Iran a quello Sunnita degli Al Saud che mirano ad una maggiore influenza sul piccolo stato in vista del declino delle riserve (50 anni)
L’Arabia degli Al Saud è visibilmente sotto smacco militare dalla risolutezza guerresca delle giovani generazioni iraniane, elemento su cui il Pentagono fonda tutte le sue preoccupazioni quando si tratta di muovere guerra all’Iran, paese dotato di un esercito che nella motivazione dei suoi e negli armamenti cyber trova oggi la sua forza.
Le piazze in rivolta a Teheran sono un segnale interno, di cambio di potere.
Nessun cambio di direzione nella geopolitica.
In Europa intanto la transizione energetica a cui è legato tutto questo discorso procede nei piani delle aziende gestori con notevoli sforzi di marketing, anche se conti alla mano il diesel è ancora molto più conveniente dell’elettrico.
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