Gli Usa accusano Assad: esecuzioni di massa
Corpi cremati per cancellare le "prove"
Nuove accuse di disumana crudeltà vengono mosse dagli Stati Uniti contro il regime siriano di Bashar al-Assad. Il governo siriano, ha affermato in conferenza stampa Stuart Jones, inviato del Dipartimento di Stato in Medio Oriente, sta procedendo a esecuzioni di massa di migliaia prigionieri nel carcere militare di Saydnaya, a 30 chilometri da Damasco. Le impiccagioni, accusa il diplomatico statunitense, avvengono a un ritmo di una cinquantina al giorno. Per cancellare le prove dello sterminio, all'interno dell'istituto di pena, un edificio modificato per essere adibito a crematorio, come mostrerebbero delle foto statellitari declassificate diffuse dal Dipartimento di Stato.
Le foto sono state scattate da satelliti commerciali e coprono un periodo che va dal 2013 ad oggi, passando dall'agosto di quattro anni fa al gennaio del 2015, quindi all'aprile del 2016 e 2017. Non provano in modo assoluto, ha precisato Jones, che l'edificio inquadrato sia un crematorio, ma evidenziano una costruzione "coerente" con quel genere di utilizzo. L'immagine del gennaio 2015, in particolare, mostra il tetto del presunto crematorio ripulito dalla neve, scioltasi presumibilmente per il calore sviluppato da una combustione.
"Dato che le numerose atrocità perpetrate dal regime siriano sono state abbondantemente documentate, riteniamo che la costruzione di un crematorio sia il tentativo di nascondere le esecuzioni di massa nella prigione di Saydnaya" ha spiegato Stuart Jones. Che ha quindi accusato Assad di "sprofondare in un nuovo livello di depravazione. Col sostegno di Russia e Iran". Di qui l'appello del diplomatico statunitense ai due alleati del dittatore siriano perché usino la loro influenza per il raggiungimento di un cessate il fuoco "credibile" e per l'inizio di altrettanto credibili colloqui di pace.
Va ricordato come lo scorso febbraio Amnesty International avesse lanciato la stessa accusa "sterminio" contro il regime di Damasco, diffondendo un rapporto in base al quale tra 2011 e 2015 in Siria sarebbero state impiccate 13mila persone, proprio nella prigione degli "orrori" di Saydnaya. Redatto sulla base delle interviste a 84 testimoni oculari, tra cui guardie carcerarie, ex detenuti, magistrati e avvocati, oltre che a esperti nazionali e internazionali, il rapporto Amnesty affermava già tre mesi fa come "ogni settimana e spesso due volte a settimana fino a 50 persone sono state tirate fuori dalle celle e impiccate. In cinque anni almeno 13mila persone, tra cui civili che si opponevano al governo".
Oltre alle vittime di Saydnaya, Amnesty quantificava anche 17.000 i detenuti morti nelle carceri siriane nel corso del conflitto. Ma a Saydnaya, aggiungeva l'organizzazione nel suo documento, "sono inflitte ai detenuti condizioni inumane, torture, sistematiche privazioni di acqua, cibo, cure mediche e medicine" mentre sono costretti a ubbidire a "regole sadiche". I negoziati di Ginevra, affermava Amnesty, "non possono non tenere conto" di questi "crimini contro l'umanità" e consentire a "osservatori indipendenti di aver accesso ai luoghi di detenzione".