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Esteri
Nagorno-Karabakh, ruoli e interessi di un conflitto pericolosamente "scongelato"

Le ostilità tra Armenia e Azerbaijan sono divampate domenica 27 settembre, ma sono ormai decenni che Yerevan e Baku si contendono il Nagorno Karabakh (o Repubblica dell’Artsakh). Ad oggi un territorio che de iure appartiene alla Repubblica azera ma che de facto è governato dalle autorità locali armene, anche se la stessa Armenia ancora oggi non ne riconosce l’indipendenza. La regione contesa ha sempre avuto una popolazione prevalentemente armena, ma era stata inclusa un secolo fa nella Repubblica dell’Azerbaijan dalla Mosca sovietica. Le tensioni tra le etnie sono scoppiate con l’inizio della dissoluzione dell’URSS e nel 1992 il Nagorno Karabakh si è autoproclamato indipendente da Baku. Con l’Armenia a supporto dei separatisti scoppia così una vera e propria guerra con decine di migliaia di morti. Un conflitto concluso con una tregua nel 1994 e con la sconfitta azera. I negoziati negli anni successivi però non hanno portato a un risultato definitivo, tanto che ciclicamente avvengono incidenti alla frontiera che si risolvono normalmente nel giro di qualche giorno. La crisi più grave, prima dell’escalation attuale, è accaduta nel 2016, con una trentina di morti da entrambe le parti.

Già pochi mesi fa, lo scorso luglio, la tensione era aumentata a causa di esercitazioni militari svolte sia dall’esercito armeno, insieme a truppe russe, sia dalle forze armate azere, unite a quelle turche, scaturiti poi in scontri che hanno causato almeno 16 vittime. Il clima negli ultimi mesi si è inasprito, con una propaganda martellante da entrambe le parti e con frequenti episodi di violenza tra appartenenti alle diaspore delle due popolazioni all’estero. Il conflitto di questi giorni quindi è tutto fuorchè inaspettato.

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Dal fronte

Non si sa con certezza quale sia stato l’atto scatenante, visto che le parti si accusano a vicenda di aver sparato il primo colpo, ma ormai nel triste bollettino di guerra di questi giorni si contano già da entrambi i lati centinaia di morti e feriti, con anche qualche vittima civile. Numeri che però non sono ufficiali visto che i due governi non rilasciano dati certi a riguardo. Inoltre, giungono notizie di bombardamenti (pure su zone civili) e abbattimenti di velivoli che allo stesso modo non trovano conferme, sia perchè la controparte puntualmente smentisce sia per l’assenza di giornalisti e di osservatori internazionali nelle zone di conflitto che possano verificare.

L’Azerbaijan sta cercando di sfruttare la sua superiorità militare ed economica e le sue truppe sembrano avanzare, anche se molto lentamente, prendendo il possesso di qualche villaggio e di porzioni di territorio nel Nagorno Karabakh. Dalle immagini e dai video che vengono pubblicati tramite i canali social dei ministeri della difesa di Armenia e Azerbaijan si nota come per adesso l’uso di UAV, ovvero dei droni, sia stato molto frequente da una parte e dall’altra e abbia come obiettivi soprattutto i mezzi militari corazzati, causando gravi perdite nei due eserciti.

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Il coinvolgimento della Russia e della Turchia

Alle spalle dei paesi coinvolti in prima linea agiscono altri attori internazionali che possono incidere profondamente sugli esiti dello scontro nel Caucaso. L’Azerbaijan è rifornito dal suo principale alleato, ovvero la Turchia, che si è detta pronta ad appoggiare Baku in ogni modo. I due paesi sono legati storicamente da un rapporto etnico-religioso molto forte, senza contare la secolare inimicizia (per usare un termine riduttivo) tra la Sublime Porta e l’Armenia. Ankara sta supportando l’esercito di Baku con mezzi (specialmente droni) e uomini (combattenti dal fronte siriano), sorvegliando inoltre lo spazio aereo dei confini armeni. L’aiuto turco non è però spiegato solo da fattori etnici, visto che la Turchia è il passaggio naturale delle esportazioni di petrolio e gas prodotti in Azerbaijan. Nel mentre, quasi paradossalmente, anche Israele rifornisce di sistemi d’arma Baku ed è legato al paese azero per via delle importazioni di petrolio.

Sull’altro fronte la Russia, partner di entrambi i contendenti a cui vende armamenti indifferentemente, ha una relazione più stretta con l’Armenia. Yerevan è infatti all’interno del contesto difensivo russo del CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettivo), ovvero l’alleanza difensiva tra Mosca e alcune delle repubbliche ex-sovietiche. Se territori ufficialmente armeni venissero coinvolti nelle offensive azere la Russia potrebbe intervenire per difendere l’alleato (e anche per mostrare agli altri alleati di poter contare ancora sulla potenza russa). Se a ciò si aggiunge il fatto che dalla parte opposta ci sia la Turchia, membro Nato, esistono potenzialmente i presupposti per un possibile aggravamento e allargamento del conflitto.  In realtà dal Cremlino spingono per una risoluzione pacifica e hanno più volte invocato il cessate il fuoco.

Anche il vicino Iran cerca di ritagliarsi un ruolo di mediatore, con l'obiettivo di contenere l’espansionismo turco, invitando azeri e armeni a giungere a una tregua, ma verosimilmente Mosca resta l’attore più importante a livello regionale che abbia il potere di imprimere una svolta positiva alla situazione. Chi non sembra avere grande peso sulla questione del Caucaso è il mondo occidentale (sia l’Unione Europea che gli USA) ma anch’esso spera in una rapida descalation di un conflitto che di ‘congelato’ non ha più nulla.

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