GIAPPONE, EDANO LEADER DEL NUOVO PARTITO DI OPPOSIZIONE - Negli scorsi anni la politica giapponese è stata spesso descritta (a torto) come noiosa. Sembrava quasi che l'era Shinzo Abe fosse destinata a durare in eterno. Così, come sappiamo, non era. E lo si era capito già ben prima che il primo ministro nipponico fosse costretto alle dimissioni per le sue precarie condizioni di salute, che sono state il colpo di grazia. Parafrasando una triste frase che abbiamo imparato a conoscere in tempi pandemici: Abe non è uscito di scena "per" le condizioni di salute precarie ma "con" le condizioni di salute precarie, che hanno semplicemente accelerato l'inevitabile. Lunedì 14 settembre si decide il suo successore (che lo stesso Abe non è riuscito a individuare con certezza durante questi anni) e il favorito è Yoshihide Suga, che ha ufficializzato la sua candidatura così come gli sfidanti Shigeru Ishiba e Fumio Kishida.
E nel frattempo qualcosa si muove anche all'opposizione del Partito liberaldemocratico. Il nuovo partito di opposizione, nato dalla fusione tra il Partito costituzionale democratico e il Partito democratico per il popolo, ha scelto Yukio Edano come prorio leader. Prevale dunque la vocazione maggioritaria del Partito costituzionale democratico, guidato proprio da Edano. E' stato il portavoce del governo dopo il disastro di Fukushima, quando alla guida del paese c'erano proprio i predecessori delle forze ora all'opposizione. Sconfitto Kenta Izumi del Partito democratico per il popolo in un voto che ha coinvolto i 149 parlamentari che andranno a formare il nuovo partito di opposizione, che come nome manterrà il nome del Partito costituzionale democratico, che ha 89 seggi. La missione da compiere per insidiare davvero la maggioranza alle prossime elezioni è comunque ancora molto complicata, dopo anni di divisioni e spaccature. La stessa campagna per scegliere il nuovo leader, così come il processo di fusione, è stato in larga parte offuscato dalle dimissioni di Abe e dalla corsa alla sua successione.
USA-CINA, SFIDA DIPLOMATICA SULL'ASEAN - Giornate movimentate anche a Sud-est. Abbiamo parlato nelle ultime pillole asiatiche della missione diplomatica del ministro della Difesa Wei Fenghe nei paesi dell'area (che nel frattempo prosegue in Brunei, dove sono stati ribaditi gli ottimi rapporti tra i due paesi, e si concluderà in Indonesia). Ma dall'altra parte non si sta a guardare. La sfida sinoamericana sta andando in scena a margine, o meglio al centro del summit dell'Asean che si sta tenendo in videoconferenza in questi giorni e che si è aperto con il consueto pressing del Vietnam sul tema del Mar Cinese Meridionale. Hanoi è da tempo il paese più deciso dell'associazione nell'opporsi alle manovre cinesi nell'area. E, complice la presidenza di turno dell'Asean, ha ribadito ancora una volta la sua posizione. Nel suo discorso di apertura, il primo ministro Nguyen Xuan Phuc ha fatto riferimento al Mar Cinese Meridionale e ai rischi per pace e stabilità, senza però citare direttamente Pechino. Il ministro degli Esteri Pham Binh Minh ha invece dichiarato di accogliere "con favore i contributi costruttivi e reattivi degli Stati Uniti agli sforzi dell'Asean per mantenere la pace, la stabilità e gli sviluppi nel Mar Cinese Meridionale", in una videoconferenza alla quale ha partecipato anche il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, il quale ha manifestato preoccupazione per le azioni "aggressive e destabilizzanti" della Cina e ha richiamato alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (che, però, Washington non ha mai ratificato).
La Cina ha ovviamente reagito. Il ministro degli Esteri Wang Yi, reduce dal tour europeo che ha toccato anche l'Italia, ha dichiarato in una ulteriore videoconferenza con gli omologhi Asean che sono proprio gli Stati Uniti a essere " il più grande fattore di militarizzazione del Mare Cinese Meridionale", mentre l'interesse della Cina e' quello di mantenere "pace e stabilità". Lo scopo degli Usa, secondo Wang, sarebbe "creare tensioni e cercare di trarne profitto". Nel frattempo, il summit Asean proseguirà fino a sabato e si parlerà ovviamente anche di cooperazione economica e ripresa post Covid, che ha colpito la regione in modo diverso. I paesi continentali, più vicini alla Cina, hanno saputo contenere molto bene l'emergenza pandemica (in particolare Vietnam e gli altri due paesi della regione del Mekong, Laos e Cambogia), mentre Indonesia e Filippine sono state duramente coinvolte. Nel frattempo la settimana di incontri intraregionali proseguirà fino all'epilogo di sabato, con l'Asean Regional Forum al quale prenderanno parte anche i rappresentanti diplomatici di Russia, India, Giappone, Corea del sud, Stati Uniti e Unione europea.
TENSIONE ALLE ISOLE SALOMONE - Addentrandosi nell'area del Pacifico meridionale, è un periodo più che delicato per le Isole Salomone. Nel 2019 Honiara ha interrotto le relazioni diplomatiche con Taiwan e ha avviato quelle con la Repubblica Popolare Cinese. Una mossa che ha causato polemiche a livello interno, rinfocolate durante il periodo di emergenza pandemica. E ora Malaita, una delle nove province dell'arcipelago, cita anche la questione Pechino-Taipei tra i motivi per i quali ha richiesto un referendum di indipendenza. Malaita è di gran lunga la provincia più popolosa del paese, anche se la capitale Honiara non è nel suo territorio. Da qui il leader locale Daniel Suidani ha lanciato la sfida al governo centrale guidato da Manasseh Sogavare, proponendo un referendum che Honiara ha già definito illegale qualora si tenesse sul serio.
In realtà, la "battaglia" tra Malaita e Honiara deriva da tanti altri argomenti, anche storici, e i legami diplomatici con Pechino o Taipei rappresentano solo l'ultimo motivo di scontro. Divisioni politiche, culturali ed etniche hanno portato a violenze trascinando l'arcipelago sull'orlo della guerra civile sul finire dello scorso millennio. Le vecchie tensioni sono riemerse in seguito alle ultime elezioni e riesplose dopo che gli aiuti anti Covid inviati da Taiwan alla provincia di Malaita sono stati bloccati dalla capitale Honiara, che a sua volta aveva ricevuto quelli di Pechino. L'influenza cinese nella regione è in aumento. Sempre nel 2019, poco dopo le Isole Salomone, anche Kiribati ha deciso di interrompere le proprie relazioni diplomatiche con Taiwan. Scelta ribadita dopo le recenti elezioni presidenziali (ne avevamo scritto qui) che hanno confermato al potere l'uomo della svolta.
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