Esteri
Siria, Putin decide. Gli altri parlano con i giornalisti
Di Gianni Pardo
L’intervento militare della Russia in Siria fa discutere. Si criticano i suoi primi interventi innanzi tutto con la solita lagna delle vittime civili e dei “bambini morti” e poi perché le bombe potrebbero aver colpito i ribelli che piacciono invece di quelli che non piacciono. Inoltre si rimprovera a Putin di sostenere Bashar al Assad, mentre gli occidentali, e in primo luogo la Francia, vorrebbero abbatterlo prima di occuparsi dello Stato Islamico. Assad è un tiranno crudele, perché lo dicono i giornali e perché lo dice l’Onu. Come se fossero affidabili. E come se i suoi avversari fossero migliori di lui.
L’osservatore neutrale ha tendenza ad essere disgustato. La politica internazionale è un gioco in cui valgono le maniere forti. Occuparsi delle qualità morali di qualcuno è assolutamente futile. Di chiunque non bisogna chiedersi se sia decente o indecente, ma soltanto se ci possa essere utile. E se è così, bisogna allearsi con lui, foss’anche il Diavolo. Chi ha preoccupazioni etiche dovrebbe essere escluso dal gioco della politica estera perché dimostra di non conoscerne le regole.
Tutte le maledizioni e i distinguo riguardanti Bashar al Assad sono sol-tanto fastidiosi. Quando i francesi insistono preliminarmente sulla necessità di eliminarlo, ci si chiede se siano rimbecilliti o se, sotto i discorsi morali, non ci siano seri motivi d’interesse. Al contrario comprendiamo benissimo la Russia quando sostiene che Assad è sul teatro di guerra, dispone di una parte della Siria, impiega truppe di terra ed ha serie ragioni per abbattere lo Stato Islamico: dunque, chiunque volesse agire contro quei fanatici e cercasse di escludere Damasco dall’impresa, mancherebbe di buon senso.
Del resto - motivi morali e di civiltà a parte - non convince del tutto l’asserita necessità di abbattere lo Stato Islamico. Recentemente qualcuno citava il numero degli Stati “coalizzati” contro di esso (più di una cin-quantina) senza accorgersi che proprio questo numero dimostra che mili-tarmente la coalizione non esiste. Lo S.I. è tutt’altro che una grande macchina da guerra. Un esercito serio lo spazzerebbe via in una settimana o poco più, figurarsi una coalizione di cui fanno parte i principali Stati occidentali, più gli Stati Uniti ed ora, fattivamente, la Russia. Se non lo si elimina è perché, per agire contro uno Stato, sia pure folcloristico e cri-minale, bisogna essere disposti a sporcarsi le mani, a spendere denaro e ad accettare che muoiano decine dei propri soldati. Nessuno dice che sia un piccolo prezzo. Nessuno dice che lo si debba pagare. Ma se ci si limita alla condanna morale, si fanno soltanto chiacchiere da bar.
Attualmente la Russia sembra decisa ad agire. Lo ha dimostrato in Ucraina – violando disinvoltamente la decenza politica – e lo dimostra ora in Siria. Gli altri Paesi invece somigliano a quei giornalisti che sembrano dimenticare che il calcio è quel gioco che si pratica sul terreno, non sulle colonne dei giornali.
Rimane da capire quale azione concreta la Russia voglia attuare in Siria. Se si limiterà agli attacchi aerei, come gli Stati Uniti e la Francia, la sua presenza sulla costa sarà soltanto una garanzia che Assad non sarà abbattuto militarmente. Non per amore suo, naturalmente: semplicemente perché la Russia tiene ad avere una base navale in quel Paese e non può essere sicura di continuare ad averla, cambiando il regime. Può darsi in particolare che la sua intelligence le abbia indicato che il regime comincia a vacillare e che bisogna sostenerlo, se si vuole che duri. La presenza di Mosca farebbe capire a tutti che, comunque vadano le cose, c’è sempre la garanzia della soverchiante forza russa.
Quanto al Daesh, sappiamo tutti che gli Stati più interessati alla sua eliminazione sono i vicini: e se non si attivano più efficacemente loro, è bene che non si aspettino molti aiuti dagli altri.
Interessante è pure il ruolo di Israele. Questo Paese non è né sunnita né shiita ed è in linea di principio estraneo ai giochi, perché lo scontro non lo riguarda. Tuttavia preferisce avere alla frontiera una Siria che da quarantadue anni ringhia ma non morde, piuttosto che un regime che non ha rispetto né per la pace né per la vita dei suoi stessi soldati. Lo Stato Islamico alla frontiera potrebbe significare, se non la guerra, attentati, scaramucce e missili. E di Hamas ne basta una. Ecco perché la Russia si rivolge anche ad Israele. Più sottobanco che pubblicamente, è ovvio, ma gli interessi sono convergenti, e soltanto ad essi bada Putin.
Come si vede, il quadro sostanziale è estremamente lontano dalla re-torica e dalla demagogia da cui siamo sommersi. Le eventuali condanne dell’azione russa, se questa dovesse incorrere in azioni che si rivelassero altamente impopolari, lasceranno il tempo che trovano. Mosca sa di avere a che fare con l’Europa, un gregge impotente, e con gli Stati Uniti, prontissimi a giudicare e predicare ma risoluti a non alzare un dito.
La politica internazionale è una cosa seria e chi crede di poterla fare con le parole si sbaglia. Se proprio ne ha voglia, vada all’Onu: quell’Assemblea è sempre pronta ad applaudire la retorica e le tesi sbagliate. Infatti è il tempio mondiale della demagogia. Per il resto, degli avvenimenti in corso noi europei siamo soltanto spettatori. È bene che ce ne rendiamo conto.