Trump contro Harvard, l'esperto: "Politica disastrosa che indebolisce gli Usa" - Affaritaliani.it

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Trump contro Harvard, l'esperto: "Politica disastrosa che indebolisce gli Usa"

“Teniamo conto però che Trump non rappresenta tutta la società USA. Per molti aspetti Trump è un accidente della storia americana. Mi auguro che passato Trump queste politiche vengano archiviate”, afferma l’autorevole professore

di Federica Leccese

Intervista a Roberto D’Alimonte sulla decisione di Trump di escludere gli studenti stranieri da Harvard

La recente decisione del presidente americano Donald Trump di negare l’accesso agli studenti stranieri ad Harvard ha sollevato numerosi interrogativi sul futuro del sistema universitario americano e sul ruolo degli Stati Uniti nella competizione globale non solo scientifica e accademica, ma anche economica. In questo contesto, abbiamo intervistato Roberto D’Alimonte, professore di Sistema politico italiano alla facoltà di Scienze politiche presso la Luiss di Roma ed esperto di politica americana, per analizzare il significato politico e culturale di tale provvedimento, le sue conseguenze a medio-lungo termine e le ripercussioni sulle relazioni internazionali.

Professor D’Alimonte, la decisione di Trump di limitare l’accesso degli studenti stranieri ad Harvard rappresenta un evidente cambio di rotta rispetto alla tradizione accademica statunitense. Qual è, secondo lei, il significato politico profondo di questa scelta? È solo una mossa elettorale o c’è una strategia di lungo periodo dietro?

Ha ragione a dire che si tratta di un cambiamento importante e - aggiungo -negativo. Harvard in particolare è diventata il simbolo di tutto quello che Trump considera una deriva pericolosa della cultura americana, secondo lui dominata da una ideologia ‘woke’ che una larga fetta del suo elettorato detesta. La tolleranza dell’antisemitismo di cui Harvard è accusata è un alibi. Trump ha preso di mira Harvard per mandare un messaggio a tutto il mondo accademico di estrazione liberal. Teniamo conto però che Trump non rappresenta tutta la società USA. Per molti aspetti Trump è un accidente della storia americana. Mi auguro che passato Trump queste politiche vengano archiviate. 

Gli Stati Uniti hanno storicamente attratto talenti da tutto il mondo grazie al loro sistema universitario d’eccellenza. Quali potrebbero essere, a suo avviso, le conseguenze a medio-lungo termine di una politica che scoraggia la mobilità internazionale verso le Ivy League?

La capacità degli USA di attirare talenti da tutto il mondo grazie alla eccellenza delle loro università è da sempre una delle ragioni più importanti che spiegano la leadesrhip USA in campo tecnologico e la competitività delle imprese americane. Scoraggiare la mobilità e allo stesso tempo tagliare i fondi di ricerca alle università rappresentano una politica disastrosa che rischia di danneggiare gravemente quel modello universitario che è quasi un unicum nel panorama internazionale. 

Questa decisione sembra riflettere una visione più ampia di “America First”, ma applicata alla cultura e all’educazione. Ritiene che ci sia un rischio concreto di isolamento culturale per gli USA? E come potrebbe reagire l’Europa, soprattutto in termini di attrazione di cervelli?

Come in altri campi, anche in questo settore gli obiettivi della amministrazione Trump non sono chiari. C’è il desiderio di favorire l’scrizione di cittadini USA ma anche quello di indebolire finanziariamente università prestigiose che ricavano fondi importanti dalle tasse universitarie pagate da studenti stranieri. 

Quanto all’Europa il cambiamento offre una grande opportunità per attirare talenti da tutto il mondo. Sarà interessante vedere quali Paesi e quali università la sfrutteranno e con quali incentivi. Certamente si muoveranno in tal senso le migliori università private del continente, ma mi auguro che anche le migliori università pubbliche si attrezzino per beneficiarne.

Secondo Lei, in che misura questa iniziativa può essere letta come un’ulteriore espressione del populismo trumpiano, e in che modo si inserisce nel clima politico globale attuale?

Le due cose vanno insieme. Sappiamo che nell’elettorato di Trump prevalgono gli elettori con basso livello di istruzione e con opinioni prevalentemente conservatrici che vivono in zone rurali. Molti di questi elettori guardano con diffidenza le università di élite che considerano campioni di una cultura progressista radicale che detestano e non sono certo interessati al flusso di studenti da altri paesi. Quanto all’aspetto geopolitico basti pensare che recentemente si è parlato di provvedimenti specifici riguardanti gli studenti cinesi che studiano negli USA e che sono tanti. In questo caso è chiaro l’obiettivo politico di contenere anche in questo modo l’influenza di Pechino. 

Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano, ai nostri microfoni ha dichiarato che questa stretta culturale genererà inevitabilmente danni anche sul Pil Usa. Un'economia che è già alle prese con un elevato debito pubblico, una manovra che dovrà passare ora al Senato, e una guerra commerciale aperta con Europa e non solo. Si trova d'accordo con questa posizione? Gli Stati Uniti rischiano anche sotto il profilo economico?

Non sono un economista ma questa tesi mi sembra molto plausibile. Ho già detto che gli Usa si sono avvantaggiati da tanti anni dell’arrivo di cervelli da tutto il mondo che hanno dato un grande contributo alla crescita economica e al dinamismo culturale del paese. Rinunciare a questa risorsa e allo stesso tempo adottare una politica commerciale protezionista e ricattatoria è una scelta sbagliata perché isola il paese e ne indebolisce quel ‘soft power’ di cui gli USA hanno goduto fin qui e che Cina e Russia non hanno mai avuto.   

 

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