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Esteri
Usa 2020, energia e petrolio al centro della sfida Trump-Biden. Il programma

Donald Trump vs Joe Biden: l’ultimo confronto

Fracking, petrolio e energia: tre le parole chiave delle presidenziali americane 2020. I temi energetici, così come quelli estrattivi legati al petrolio, assumono sempre più rilevanza nel dibattito politico. La conferma arriva dall’ultimo round di battute tra Donald Trump e Joe Biden, nel quale gli animi hanno celermente preso fuoco. Dapprima Trump accusa Biden: “Ah quindi stai dicendo di voler chiudere l’industria americana del petrolio?”, il quale replica: “L’industria petrolifera inquina tantissimo. Nel tempo dovremo sostituirla con le energie rinnovabili. Dobbiamo smettere di dare sussidi pubblici all’industria petrolifera. Non li diamo all’eolico e al solare, perché darli a loro?”. E subito dopo, il presidente americano, appellandosi agli elettori,  afferma: “Questa è la dichiarazione più importante della serata. In pratica dice che distruggerà l’industria del petrolio. Te lo ricorderai, Texas? Ve lo ricorderete, Pennsylvania, Oklahoma, Ohio?”.

Donald Trump e la sua politica energetica

Donald Trump, fin dalla campagna elettorale del 2016, non ha mai fatto mistero del suo scetticismo rispetto ai cambiamenti climatici, definiti in passato “una bufala cinese”, e della sua aperta opposizione alle politiche riguardanti le energie rinnovabili. Le promesse elettorali spaziavano infatti su questi fronti: dalla revisione dell’accordo di Parigi alla cancellazione del Clean Power Act, varato da Obama per la riduzione delle emissioni nel settore energetico, dall’incremento delle industrie fossili di gas e petrolio, al blocco dello sviluppo delle politiche climatiche. La politica energetica di Trump ha cominciato a prendere forma il 28 marzo del 2017, con la firma dell’Executive Order, nel quale venivano ridefiniti gli obiettivi strategici nazionali: la piena indipendenza energetica degli Usa, rispetto in particolare ai paesi dell’Opec e il rilancio dell’industria energetica, come volano per lo sviluppo economico e per la creazione di nuovi posti di lavoro. Quest’ultimo obiettivo riguardava innanzitutto l’industria del carbone, che negli ultimi anni aveva conosciuto una profonda crisi, dalla quale l’amministrazione Trump intendeva risollevare, rimettendo i minatori “back to work”.

Per fare ciò, l’Executive Order del 28 marzo conteneva alcune misure volte a smantellare, pezzo dopo pezzo, la politica ambientale di Barack Obama. In particolare, il provvedimento si rivolgeva alle Agenzie federali con competenze in materia energetica, quali in particolare l’Environmental Protection Agency (Epa), cui ordinava di rivedere tutta la regolazione esistente, eliminando le restrizioni idonee a ostacolare o impedire l’utilizzo e lo sviluppo delle risorse energetiche nazionali. Più nel dettaglio, il provvedimento presidenziale ordinava all’Epa di eliminare le restrizioni alle emissioni di Co2 contenute nel Clean Power Plan, che avrebbero probabilmente portato alla chiusura di diverse centrali a carbone. Inoltre, veniva rimossa la moratoria sulle licenze minerarie in terreni federali, introdotta da Obama, aprendo così la strada a nuove concessioni di ricerca ed estrazione. Va aggiunto che l’executive Order non aveva il potere di produrre effetti immediati, ma si limitava ad ordinare alle Agenzie federali di mettere mano ai regolamenti adottati in materia ambientale. Il programma presidenziale si è scontrato poi con la volontà di diversi Stati progressisti, in particolare California e New York, che hanno sempre dichiarato di voler continuare ad attuare, nell’ambito delle proprie competenze, politiche fortemente ambientaliste. 

Nel giugno del 2019 l’amministrazione Trump ha presentato ufficialmente il piano energetico Affordable Clean Energy (Ace), in sostituzione al Clean Power Plan varato dalla Presidenza Obama. Il piano permetteva alle centrali a carbone di allungare il loro periodo di operatività, ricercando soluzioni tecnologiche finalizzate a diminuire la produzione di emissioni inquinanti. L’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Epa) degli Stati Uniti ha stabilito che d’ora in poi saranno i singoli Stati americani a decidere i limiti per le emissioni delle centrali elettriche a carbone, cancellando quindi i limiti federali imposti da Obama. La strategia rientrava nella promessa fatta in campagna elettorale da Donald Trump, che si era impegnato ad aiutare l’industria carbonifera. Ma proprio dai singoli stati erano partite le proteste: “È una chiara violazione del Clean Air Act, intendo citare in giudizio l’Epa e non vedo l’ora di collaborare con altri Stati e città per proteggere tutti gli americani dagli impatti sempre più disastrosi dei cambiamenti climatici”, aveva dichiarato il procuratore generale di New York, Letitia James.

Ma in polemica col negazionismo di Trump e l’immobilismo del Congresso, si era schierato anche il magnate dei media ex sindaco di New York Michael Bloomberg, che aveva promesso di staccare un assegno da 500 milioni di dollari per una nuova campagna che puntava a chiudere ogni centrale a carbone negli Stati Uniti. La campagna chiamata “Beyond Carbon” (oltre il carbone) sosteneva movimenti, associazioni e lobby del Paese, impegnati nella transizione energetica verso fonti rinnovabili e pulite. Sul tema Bloomberg aveva criticato sia il presidente Trump sia il Congresso degli Stati Uniti: “Siamo in corsa contro il tempo per fermare il cambiamento climatico, e al momento non possiamo sperare in una decisa azione da parte del governo federale per almeno altri due anni. Madre Natura non aspetta il nostro calendario politico, e neanche noi possiamo farlo”. 

A distanza di quattro anni, nonostante il mondo abbia cambiato fisionomia, anche a causa della pandemia da Covid-19, le promesse di Donald Trump in campo energetico non sembrano aver subito grosse modifiche. Le dichiarazioni di oggi rispecchiano le volontà di ieri: l’uscita dal Trattato di Parigi e l’introduzione dell’Ente di Protezione Ambientale (Enpa) volto a cancellare il “Piano per l’Energia Pulita” (Cpp) creato nel 2015 dall’amministrazione Obama. Così come vengono riconsiderati i limiti sull’emissione del metano imposto dall’amministrazione precedente, che attualmente comporta una spesa di 530 milioni di dollari all’anno. Si prospetta l’ottenimento da parte dell’Ordine Esecutivo della firma per espandere le trivellazioni di petrolio e gas, in modo da favorire la stipulazione di nuovi contratti (es. nel Golfo del Messico), così come l’espansione dell’oleodotto Keystone XL, che porterebbe 42 mila nuovi posti di lavoro. 

Joe Biden e il suo super-piano energetico

Il candidato democratico Biden ha invece presentato un super- piano per l’energia pulita e per il clima, prevedendo un investimento pari a 2 trilioni di dollari. La proposta ha cercato di accontentare da una parte gli elettori della sinistra più radicale e più “verde” e dall’altra di mantenere la fiducia e l’attenzione degli elettori democratici più tradizionali. Entro il 2035 sarà definito uno standard neutrale dal punto di vista tecnologico per le utility e gli operatori di rete (Energy Efficiency and Clean Electricity Standard), per arrivare a un mix elettrico a zero emissioni. In questo modo si lascia campo aperto non solo alle rinnovabili, ma anche al nucleare e, almeno sulla carta, ai combustibili fossili, gas e carbone, se gli impianti saranno equipaggiati con sistemi per catturare le emissioni di Co2 (Carbon Capture and Storage). Difatti, reattori nucleari avanzati e Ccs, sono tra le tecnologie che secondo il piano dovrebbero aiutare gli Stati Uniti a raggiungere il 100% di energia pulita; è prevista anche la creazione di una nuova agenzia dedicata alle attività di ricerca e sviluppo in questi e altri settori, Arpa-C, cioè Advanced Research Projects Agency on Climate. 

Tra le tante misure si aggiunge anche il programma per la riqualificazione energetica di 4 milioni di edifici (con la priorità a scuole, ospedali e immobili pubblici); l’installazione di almeno 500.000 punti di ricarica per veicoli elettrici; il potenziamento dei trasporti pubblici e delle ferrovie; la creazione di un milione di nuovi posti di lavoro nell’industria Usa dell’auto, con particolare attenzione alla filiera dell’elettrico. Ma continua a mancare un esplicito bando contro nuove attività di fracking, cioè l’estrazione di gas e petrolio con tecniche molto invasive e dannose per l’ambiente (la “spaccatura” delle rocce). E non si parla neppure di politiche di carbon pricing con cui tassare le emissioni di anidride carbonica.

 

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