Viaggio a Kampala, dove il cuore guarisce più dei farmaci
Ieri notte ho sognato Lina. Ballavamo insieme. Lei sempre così carina, sorridente, con quella tutina rosa e le gambette da gazzella. Nel sogno ballava come faceva quando la incontrai per la prima volta. Elegante e spensierata.
Lina, 8 anni, l'ho conosciuta alla Welcoming House di Kampala, in Uganda. Con lei una trentina di altri ragazzini. Bambini più piccoli o un po' più grandi. Tutti abbandonati, ma poi accolti e cresciuti con amore in quella bella casa con un giardino e le altalene. Una casa diretta da Rose del Meeting Point International. "Lina è stata abbandonata quasi subito dopo la nascita" mi dice Rose Busingye, classe 1968, infermiera professionale specializzata in malattie infettive. "Quando ce l'hanno portata stava in una mano. Era così piccola che la dovevamo nutrire con il sondino. Non credevo che ce la facesse". Alla Welcoming House, storie di disperazione come quella di Lina si ripetono, ma una volta entrate in questa casa diventano di speranza. Lina è nata sordomuta. Come faccia a ballare in quel modo ed essere così genuinamente allegra è miracoloso.
UNA MAMMA ADOTTIVA - Ogni mattina, Agnes accompagna Lina alla scuola speciale. E' una sorta di mamma, le maestre sanno che possono contare su di lei. Per dialogare con la piccola ha imparato l'alfabeto dei gesti. Lungo la strada gesticolano, insieme ridono silenziosamente. Del resto Agnes ha "un po' di tempo libero" mi dice: i suoi quattro figli sono ormai abbastanza cresciuti. Il più grande si è appena laureato ed è in cerca di lavoro, il secondo si è iscritto all'università; le due femmine vanno alla scuola superiore e alla primaria.
LA CARITA' ALLA ROVESCIA |
Agnes Acheng, 44 anni, l'avevo conosciuta l'anno scorso, a giugno, al Meeting Point International di Kampala. "Con Teddy è una delle nostre responsabili" mi aveva spiegato Rose "insieme assistiamo cinquemila persone". Donne malate di Aids, bambini orfani della guerra o della malattia, uomini che piano piano si lasciano accogliere e curare. Persone altrimenti emarginate, che hanno imparato a fidarsi uno dell'altro e che insieme stanno costruendo un tessuto sociale capace di farli sorridere, nonostante le difficoltà affrontate e quelle ancora da superare. "One heart è il nostro slogan. Un cuore solo, unico" afferma Rose. "Perché nella gioia o nella malattia il cuore non ha razza e non ha colore. E' unico e desidera una sola cosa, essere amato. E se riceve amore è capace anche di restituirlo. Una catena che diventa contagiosa".
LA GUERRA - Prima di conoscere il Meeting Point International di Kampala, Agnes, originaria di Kitgum, un paesino nel nord dell'Uganda, al confine con il Sud Sudan, ha vissuto per oltre dieci anni nella guerra. Qui in Uganda era conosciuta come quella "dei bambini soldato". Feroci guerriglieri spazzavano via interi villaggi di notte, portandosi via i ragazzini perché più facili da addestrare a fare cose terribili. Sul campo lasciavano solo dolore e sangue. Agnes è stata rapita e per quasi dieci anni ha vissuto nel bush. Di giorno marciavano e all'imbrunire attaccavano. Le donne poi avevano anche altri compiti da assecondare. Se non ubbidivi morivi. E quasi sempre per mano dei tuoi stessi compagni che venivano obbligati a farti a pezzi a colpi di machete o a bastonate. Un'atrocità. Un giorno Agnes riesce a scappare. Ma oltre alle ferite dell'anima, si porta dietro anche la malattia che stava mietendo vittime in tutta l'Africa. Erano i primi anni Novanta e l'Aids stava diffondendo in modo virale il suo stigma.
PERSONE DI VALORE - Eppure Agnes a guardarla, oggi è felice. Prende gli antiretrovirali, fa una vita normale. "Nonostante la malattia e le difficoltà, Agnes ha capito che ha comunque un valore". Mi spiega Rose "Ha capito che la sua vita non può certo essere definita da quell'orribile passato o da una condizione di malattia o indigenza in cui ci si può trovare. Agnes, come persona, è molto di più. E' molto più "del virus". E' greater. Se hai chiaro questo, la tua vita è più ricca. Pensaci!".
Oltre ad accompagnare Lina a scuola, due sere alla settimana, Agnes organizza i corsi di alfabetizzazione per le donne del Meeting Point che non sanno né leggere né scrivere. "Vedendo i loro figli andare a scuola, ci hanno chiesto di aiutarle a migliorare". Agnes si assicura che i maestri arrivino ogni lunedì e giovedì, prepara le sale, sedie, panche e ricorda alle donne di non mancare all'appuntamento, andandole a cercare, se necessario, una ad una e spuntandole dalla lista. E poi cuce. Sì, perché Agnes è una sarta e sta insegnando il lavoro anche alle altre donne così da poter guadagnare qualcosa. Il loro sogno è poter confezionare le divise della scuola che hanno costruito per i loro figli, con gli amici di Avsi, ma anche grazie al loro talento artigianale, confezionando borse e collane di carta riciclata. "L'educazione del cuore che queste madri hanno ricevuto, ha dato loro una forza straordinaria che ora ricade sui loro figli e sulla comunità".
L'ISTRUZIONE - La scuola, la Giussani High School, è bella e grande e fa studiare gratuitamente seicento ragazzi con il sostegno a distanza della fondazione Avsi, partner internazionale del Meeting Point di Rose. È una scuola secondaria e una volta passati gli esami, i giovani potranno andare all'università. "In Uganda, l'80% della popolazione ha completato il primo ciclo di studi, ovvero, le "elementary school" come da tradizione britannica, anche se molti non sanno comunque leggere o scrivere. Con l'introduzione del programma di scolarizzazione universale per tutti si è alzata la percentuale di bambini nelle scuole, ma è scesa drasticamente la qualità dell'educazione. I ragazzi che proseguono gli studi sono solo il 10% delle femmine e il 17% dei maschi. La scuola secondaria non è gratuita e l'università è ancora per pochi".
AIUTO RECIPROCO - Mentre ero a Kampala, un giorno Rose è arrivata al Meeting Point chiedendo alle donne un attimo di attenzione per un'emergenza. "A scuola mi hanno comunicato che c'è una ragazzina, orfana di genitori e in trattamento antiretrovirale, che è stata abbandonata dalla zia a causa della malattia. Non se la sentiva più di starle accanto. Bisogna trovare una nuova casa, in modo da ospitarla al più presto, così che non sia più sola". Detto fatto. La stessa sera, la giovane Mildred aveva già una nuova mamma e una casa. Magari non bella, semplice e senza i servizi. Ma ricca di amore.
In una nazione giovane come l'Uganda, dove il 49% dei 34,5 milioni di abitanti ha meno di 15 anni e con un'aspettativa di vita di 49 anni per gli uomini e 51 per le donne, il 38% vive sotto la soglia della povertà e 1.400.000 persone vivono con Hiv/Aids. A causa della feroce epidemia che ha devastato il Paese, 62 mila adulti sono morti, lasciando 190 mila bambini malati di Aids e 1.1 milioni orfani di almeno uno dei genitori. "Il prezzo dei farmaci antiretrovirali sta diminuendo grazie alla competizione tra produttori di generici, ma i farmaci di nuova generazione, necessari per i malati che non rispondono più alle cure precedenti, sono ancora troppo cari. Attenzione però, - allerta Rose - i farmaci sono fondamentali, ma non abbastanza per prendersi cura della persona nella sua totalità".
Ed è per questo che donne come Agnes fanno la differenza. Senza persone così, tutti gli aiuti, anche quelli internazionali, andrebbero persi. Donne come lei sono espressione della società civile più sincera che riempie il vuoto tra la persona e l'infrastruttura. L'anello che permette di rispondere ai bisogni. L'ultimo miglio dello sviluppo sostenibile.
In areo, di ritorno dal viaggio, ho pensato molto ad Agnes e alle mie amiche in Uganda e ho capito che io voglio vivere così. Voglio essere come Agnes. "Your life remains our insipration" hanno scritto i sudafricani per festeggiare il 95 compleanno di Madiba Mandela. Voglio guardare alla vita attraverso l'immensità del mondo e non ripiegarmi, come troppo spesso accade qui da noi, su me stessa. Voglio guardare a quello che ho e non a quello che manca. Voglio essere di più. Greater.
Testo e foto di Elisabetta Ponzone (Avsi)