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Esteri
Xi Jinping, i segreti del nuovo Mao. Così è diventato il più potente del mondo

SU AFFARITALIANI.IT UN ESTRATTO DALL'INTRODUZIONE DEL LIBRO "IL NUOVO MAO -  XI JINPING E L'ASCESA AL POTERE NELLA CINA DI OGGI" DEL DIRETTORE DEL TG2 GENNARO SANGIULIANO SUL PRESIDENTE CINESE XI JINPING, EDITO DA MONDADORI

Xi Jinping è probabilmente l’uomo più potente del pianeta. È presidente della Repubblica Popolare della Cina, segretario del Partito comunista cinese e, soprattutto, capo della Commissione militare centrale, vero scettro del potere nella nazione più popolosa del mondo. Solo il russo Vladimir Putin può competere con una tale ampiezza di potere. Ma il suo mandato, secondo il dettato della Costituzione russa, è a termine; tanto è vero che Putin ha dovuto, in una certa fase della sua lunga carriera politica, cedere il passo, almeno formalmente, a Dmitrij Medvedev. Xi, a dire il vero, è anche presidente di un’altra decina di com- missioni statali, tra cui quella che sovrintende a Internet e alla gestione della Rete.

Gli Stati Uniti sono ancora la più rilevante potenza economica, militare e tecnologica del mondo, ma per quanto il presidente americano possa contare su una considerevole autonomia deci- sionale, il potere che esercita è articolato in un quadro di regole democratiche e costituzionali, fatto di bilanciamenti e contrap- pesi (il celebre check and balance di antica tradizione inglese). Jeff Bezos, il patron di Amazon, dispone di una ricchezza personale enorme, superiore a quella di alcune nazioni messe insieme, ma deve confrontarsi pur sempre con la politica. Xi Jinping regna come un monarca assoluto su oltre un miliardo e trecento milio- ni di individui e su un’economia in forte espansione, che condi- ziona tutto lo spazio globale. Si pensi, solo per fare un esempio, 4 Il nuovo Mao all’impatto sul commercio mondiale. Ha scritto Bruno Vespa: «Oggi Xi Jinping è l’uomo più potente e carismatico della storia cinese dell’ultimo secolo, dopo Mao».

Gennaro SangiulianoGennaro Sangiuliano (foto Lapresse)
 


Di recente, il primato del leader cinese è stato confermato anche dalla rivista «Forbes», che ogni anno, com’è noto, stila la classifica dei settantacinque uomini più potenti del mondo. In cima, davanti a Putin e Trump, svetta Xi Jinping. Nel marzo del 2018, con una riforma costituzionale che cancellava il limite dei due mandati, l’Assemblea nazionale del popo- lo cinese, una sorta di Parlamento che di fatto ratifica le decisio- ni del partito, ha sancito che Xi poteva restare presidente a vita.

Il voto è stato netto: 2958 sì, 2 no, 3 astenuti. Pochi mesi prima il congresso del Partito comunista cinese (d’ora in poi Pcc) aveva inserito le linee direttrici del pensiero di Xi Jinping nella Costituzione del partito, come segno di riconoscimento di un’autorità assoluta. Ricordiamo che in Cina lo statuto del partito conta più della Costituzione stessa, per come la intendiamo noi, ossia la «legge fondamentale dello Stato».

All’indomani della morte di Mao, era stato Deng Xiaoping, nel 1982, a volere la regola dei due mandati quinquennali, quando si pensava che la Cina fosse destinata a evolvere verso una qualche forma di democrazia e si cominciò col temperare le prerogative del capo supremo. All’epoca era ancora vivo il ricordo delle tragedie della Rivoluzione Culturale, che il saggio Deng aveva vissuto sulla propria pelle. Detto questo, nel confronto a distanza con Mao Zedong, il potere di Xi Jinping risulta smisuratamente più ampio. Perché la Cina comunista del secondo dopoguerra era un paese debole, incerto, attanagliato da una miseria atavi- ca e permanente; la monarchia di Xi, invece, si espande su una nazione dall’economia ricca (la seconda del mondo, dopo quel- la degli Usa, con 12,2 miliardi di Pil l’anno), militarmente competitiva, in costante crescita, anche se rimangono gravi diseguaglianze tra le varie aree del paese.

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Con l’elaborazione e l’avvio del progetto Obor (One Belt, One Road), annunciato nel 2013 ad Astana, in Kazakistan, e definito come la Nuova Via della Seta, Xi ha conquistato il palcoscenico della politica internazionale, diventando non solo il principale assertore della globalizzazione economica ma, soprattutto, il fautore di un piano di egemonia che richiama i fasti imperiali dell’antica Cina.

Subito dopo l’approvazione della riforma costituzionale cui abbiamo fatto cenno, la tv di Stato ha annunciato che «1,4 miliardi di cinesi avanzano uniti sulla stessa strada». Una vera e propria consacrazione del «nuovo Mao». In realtà, va sottolineato che, dell’uomo più potente del mondo, si sa davvero poco. A disposizione abbiamo soltanto le scarne notizie che, nel tempo, gli apparati ufficiali di Pechino (Beijing) hanno fatto filtrare. Eppure, la sua biografia, consolidata da tradizione e propaganda, può essere definita con sufficiente chiarezza unendo i punti di un’immaginaria mappa, ricostruendo i dettagli più significativi della sua vita.

Xi Jinping è, innanzitutto, un «principe rosso», ossia figlio di uno di quei dirigenti del Pcc che accompagnarono Mao nella Lunga Marcia e nella guerra estenuante contro i nazionalisti per l’affermazione della supremazia comunista. Nella semantica comunista questa origine garantisce, di per sé, uno status ri- levantissimo, una specie di sigillo nobiliare. Di norma, solo chi proviene da famiglie fedeli al comunismo della prima ora può accedere agli alti ranghi del partito e dunque dello Stato.

Le poche note ufficiali ci dicono che Xi Jinping è nato a Pechino il 15 giugno 1953, anche se la sua famiglia proveniva da Fuping, località dello Shaanxi, luogo importante, come vedremo in seguito, per la storia comunista della Cina. È il segretario ge- nerale del Partito comunista cinese dal 15 novembre 2012 e pre- sidente della Repubblica Popolare Cinese dal 14 marzo 2013.

Se è vero che nella sua ascesa ha goduto della condizione di «principe rosso», è altrettanto vero che ha sofferto delle disavventure del padre, Xi Zhongxun, sottoposto, come tanti altri dirigenti della sua generazione, alle violente purghe di Mao. Quando Xi Jinping nasce, il padre è ai vertici del partito. Sarà prima capo della propaganda, poi vicepremier, quindi vicepresidente dell’Assemblea nazionale del popolo (il Parlamento cinese). No- nostante si posizioni subito dopo le primissime file della gerar- chia rossa, può rivendicare un dato biografico di fondamentale importanza, anche se non codificato: è tra coloro che, per l’ap- punto, hanno partecipato alla Lunga Marcia e alla lotta partigiana. Ma non basta.

Agli inizi degli anni Sessanta e poi anche in seguito, con l’avvio della Rivoluzione Culturale, Xi Zhongxun finisce nei micidiali ingranaggi delle persecuzioni interne al partito, secondo la strategia di Mao che, di tanto in tanto, eliminava gli uomini a lui più vicini per evitare che potessero accrescere il loro ruolo politico.

La caduta in disgrazia del padre è una tragedia per tutta la famiglia, che per mesi non ne conosce il destino e lo ritiene morto. Xi Jinping stesso, all’età di quindici anni, viene per quattro volte arrestato, senza motivo e senza alcuna accusa specifica, se non quella di essere figlio di un «traditore». Nel 1969 finisce in un campo di rieducazione a Yanan, dove è costretto a zappare la terra per ore e accudire i maiali. Al lavoro alterna le cosiddette «sedute di rieducazione», almeno due al giorno, durante le quali deve ascoltare lunghi sermoni e panegirici che magnificano il partito e il leader Mao. Per ben tre volte, nel corso di assemblee cui partecipano migliaia di persone, è indotto (in realtà obbligato) a fare «autocritica» ma, soprattutto, a denunciare pubblicamente gli errori del padre. In questo periodo, durante la detenzione, muore, in circostanze poco chiare – chi dice per malnutrizione, chi addirittura per suicidio – la sorellastra Heping. Al giovane Xi Jinping per dieci volte viene rifiutata l’iscrizione al partito e per tre volte la sua richiesta di immatricolazione all’università viene stracciata. È nei guai. Nella Cina dell’epoca non aderire al par- tito significa non solo non poter fare carriera ma anche, di fatto, essere equiparato a una sorta di apolide senza diritti e dignità. Quando, nel 1972, Jinping rivedrà il padre, stenterà a riconoscerlo.

Dovrà attendere la sua riabilitazione per ottenere l’agognata iscrizione al Pcc e intraprendere un percorso politico autonomo, basandosi soprattutto sulle guanxi, le relazioni interpersonali di cui la sua famiglia godeva all’interno dell’establishment rosso. Quel sistema, che si basa sulla cooptazione fideistica all’interno di clan e sottoclan, conta molto di più degli organigrammi ufficiali. I torti e le sventure subite da Zhongxun, infatti, non hanno intaccato il patrimonio di amicizie che ha maturato durante la militanza nel partito.

È così che, nel 1974, Jinping esordisce ufficialmente tra i quadri del Pcc, quando è nominato capo del villaggio di Liangijahe, dove tornerà di tanto in tanto negli anni a venire per sottolineare che la sua ascesa è iniziata dal basso. Nel 1975 ottiene l’iscrizione alla facoltà di ingegneria chimica dell’università Tsinghua, un passaggio ineludibile per chi aspira a ricoprire alti incarichi nel partito. La svolta arriva quando viene accolto sotto l’ala protettrice del generale Geng Biao, un altissimo gerarca del Partito comu- nista, di cui diventa il segretario personale. Esponente di primo piano dell’Esercito popolare, già ambasciatore in Svezia, Dani- marca e Finlandia, Biao sarà ministro della Difesa all’inizio de- gli anni Ottanta. È il padre a introdurre il giovane Xi nello staff del generale, con il quale condivideva una vecchia amicizia ce- mentata durante la Lunga Marcia.

Sotto la stella polare di Geng Biao, la carriera di Jinping può prendere il largo con una serie di incarichi in città di provincia (Hebei, Fujian, Zhejiang). Poi sarà il potente Jiang Zemin (segre- tario generale del Pcc dal 1989 al 2002) ad accompagnarlo alla nomina a capo del partito a Shanghai, seguita dall’ingresso tra i membri del Comitato permanente del Politburo, l’olimpo riservato alla leadership del Partito comunista cinese. In questa fase di ascesa, la straordinaria abilità di Jinping è quella di proporsi come elemento cerniera tra la fazione di Shanghai, guidata dall’anziano Jiang, e la fazione degli ex appartenenti alla Lega dei giovani comunisti, capeggiata da Hu Jintao, che sarà successore di Jiang nel ruolo di segretario generale. In sostanza, Xi appartiene formalmente al primo gruppo ma è gradito anche agli altri. Gioca con intelligenza tattica la sua partita, si insedia al potere come elemento di mediazione e poi, pian piano, si sbarazza di tutti i concorrenti, restando padrone assoluto del campo. In questo periodo, un ruolo determinante lo gioca la sua seconda moglie, Peng Liyuan, cantante folk di successo, che costruisce un solido sistema di relazioni favorevoli. I due hanno una sola figlia, Xi Mingze, alla quale è stato accordato il privilegio di studiare all’università di Harvard sotto falso nome.

Il primo tratto distintivo della guida di Xi sono state le ripetute e diffuse campagne anticorruzione, che hanno inciso in maniera netta su un problema reale della Cina, ma che, spesso, sono state utilizzate come uno strumento di brutale persecuzione nei confronti degli avversari politici. Non sempre c’è stata coeren- za in queste campagne, secondo il vecchio detto «le leggi si applicano rigorosamente per i nemici, si interpretano per gli amici». La stessa famiglia di Jinping, a cominciare dalla sorella, nel 2012 è stata oggetto di un’inchiesta giornalistica di Bloomberg, che ne ha raccontato l’accumulo di rilevanti ricchezze. Quando si è toccato questo tasto sono scattate, puntualmente, le rappresaglie della censura, che hanno portato all’oscuramento del sito internet in tutto il territorio cinese.
 

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Henry Kissinger


Padre Bernardo Cervellera, missionario e direttore di Asia- News, è netto su Xi Jinping: «Ha un potere immenso. Ha eliminato i possibili successori con le campagne anticorruzione». In linea generale, possiamo dire che su Xi Jinping si sono succeduti molti giudizi positivi e non solo di parte cinese, come risulta ovvio. «Xi è una persona estroversa e rilassata, parla con autorevolezza e, a differenza dei suoi predecessori, ha una perfetta padronanza del mandarino» ha affermato David Shambaugh, direttore del programma sulla Cina presso la George Washington University. Che ha aggiunto: «È un uomo con un’incredibile stabilità emotiva, che non permette alle sue di- savventure personali di influenzare la sua capacità di giudizio. È impressionante».

Henry Kissinger ha detto di lui che «è più assertivo di Hu Jintao, quando entra in una stanza si sa che ci si trova davanti una presenza importante». In realtà, pochi leader oggi al mondo sono privi – come Jinping – di contrappesi nel loro sistema di potere. All’epoca di Deng Xiaoping si pensava, a torto o a ragione, che dopo l’apertura al mercato e le riforme economiche sarebbero giunte, inevitabilmente, anche quelle politiche. Non solo così non è stato ma si è assistito a un’involuzione persino rispetto agli esigui spazi di libertà concessi in precedenza. «La riforma costituzionale ha avviato un processo di accentramento del potere nelle mani di Xi Jinping, che avrà delle ricadute sui tre pilastri dell’establishment cinese: il partito, l’economia e l’esercito» scrive il presidente dell’Ispi, Paolo Magri.

È innegabile che Xi Jinping abbia coronato le aspirazioni di intere generazioni di cinesi, garantendo loro il passaggio dall’era dell’umiliazione all’ambizioso sogno di rinnovare i fasti im- periali. Il suo successo politico è stato quello di riformulare il comunismo maoista in una nuova chiave identitaria, che espri- me un forte richiamo confuciano e tradizionale, una sorta di nazional-socialismo, e dove riemerge il culto della personalità. Kai Vogelsang, autore di un’importante monografia sulla Cina, scrive di una storia che si «svolge tutta nella tensione tra unità e molteplicità». Nel senso che alla frammentarietà multiforme di questo paese, diviso, articolato, con alle spalle una lunga vi- cenda di laceranti e violenti conflitti interni, «si sente continua- mente contrapporre l’orgogliosa affermazione: “Noi siamo una cosa sola. Una sola è la nostra tradizione, la nostra cultura, la nostra storia”». .... (continua su "Il nuovo Mao" di Gennaro Sangiuliano)

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