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Borsellino-Avola, polemiche sul libro di Michele Santoro: leggi un estratto
Foto LaPresse

«L’odore del sangue. Mi è rimasto l’odore del sangue. Faccio il volontario su un’autoambulanza di pronto soccorso. E tanti la vista del sangue la trovano insopportabile. Girano la faccia dall’altra parte. Svengono. Vomitano. Io ci sono così abituato che non mi tiro mai indietro. Raccolgo corpi straziati, sollevo feriti con le budella da fuori. Non c’è niente che non riesco a sopportare. Si può contare sempre su di me. Ma quell’odore, quell’odore mi resta attaccato addosso e non riesco a mandarlo via. Come quelli che lavorano in pescheria e si coprono di profumo per non puzzare. Le prime volte ero nervoso, troppo nervoso. Non dormivo, non scaricavo l’adrenalina. Avevo fatto ciò che si doveva fare. Non ne avevo rimorsi, non ne avevo dubbi, non mi vergognavo, non avevo paura delle conseguenze. Ero solo nervoso. Troppo. Mi rigiravo nel letto e sentivo che la testa sanguinava. Ma non era sangue, era solo l’odore del sangue. Sui vestiti, sul pigiama, sulle pareti, sulla tazza del cesso. Dappertutto».

Di nuovo resta zitto. Abbassa la testa e riprende il movimento frenetico con la forchetta. Adesso so per certo che non è uno stupido. Mi sta solo mettendo alla prova e si sta chiedendo se sono pronto a seguirlo nel suo inferno. Poi decide di sfidarmi: «Sai cosa mi ha detto la psicologa in carcere? “Sei diventato un delinquente per i soldi, per comprarti la macchina”, chissu mi dissi. Non aveva capito un cazzo. Secondo te avrei fatto ottanta omicidi per crudeltà o per soldi? Non esistono spiegazioni facili. Non sono un sadico assetato di sangue e mi piace dare una mano a chi ha bisogno. Dei soldi non me n’è mai fregato una minchia: ho buttato miliardi nel cesso. Erano niente per me. E poi non sono nato povero. A Catania una moto Bmw come la mia, quando avevo vent’anni, non ce l’aveva nessuno. Nel ristorante di mio padre c’era da lavorare e guadagnare. Fimmini, macchine, non mi mancava niente. Ma ero insoddisfatto, stavo nella mia vita come in un paio di scarpe strette. La mia vita erano le scarpe di un altro».

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