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Il silenzio, il nuovo capolavoro di Don DeLillo

In effetti nel cyberspazio, dopo l’avvento degli smartphone, ci viviamo costantemente immersi. E se questi schermi dovessero spegnersi? Se il bombardamento continuo di stimoli esterni (tv, cellulari, computer, ecc.) dovesse fermarsi? Cosa resterebbe? “I frammenti umani di una civiltà”, risponde DeLillo. I frammenti umani. Le macerie.

I personaggi creati dall’autore de Il silenzio fanno pensare a Beckett, in quanto sono delle caricature buffe e grottesche che trasmettono inquietudine e angoscia, eppure sono ancora umane.

Jim è “un androide alto e bianco” che legge tutto quanto compare sullo schermo poiché lo “aiuta a nascondersi dal rumore”; un dipendente patologico da stimoli esterni desideroso dell’anonimato. Tessa vive quasi in simbiosi con lui, visto che è un’annotatrice seriale: “Per riempire il tempo. Per fare qualcosa di noioso. Per vivere la vita”. (…) “Lo scopo è andare a rileggermi gli appunti tra qualche anno e notare la precisione. Il dettaglio.” Diane è una che non sa stare in silenzio in presenza di altre persone: deve parlare, agitare le braccia, pur consapevole che nessuno la sta ascoltando. Max è un uomo sedentario che, quando non lavora, vive sul divano (“guardo tutti gli spot”). Guarda e scommette. Guarda e impreca. Guarda e ascolta. Martin, infine, è il personaggio più interessante e bizzarro: è “come una mente che cerca di affrancarsi dal vincolo che la lega al lungo corpo dinoccolato”. È una sorta di replicante che parla solo attraverso citazioni di Einstein, del quale sa tutto, ne mima i gesti, la voce, l’accento e ne ripete costantemente il pensiero. È la profetica copia artefatta di un genio che vedeva il futuro. Il nostro futuro.

DeLillo si interroga sulla nostra percezione della realtà: e se stessimo già vivendo la terza guerra mondiale, combattuta non con armi atomiche, ma con attacchi informatici, armi biologiche, droni che si scontrano nei cieli? Se avessimo posto con le cryptovalute le basi per la prossima insolubile crisi finanziaria ed economica? Dove ci porterà la corsa inesorabile verso tecnologie più avanzate ma, allo stesso tempo, più vulnerabili? E che dire dello sviluppo di sistemi di controllo, geo-localizzazione, sorveglianza, identificazione facciale ai quali tutti ci assoggettiamo e che, in un testacoda causale tra fine e mezzo, determinano chi siamo (ovvero siamo i nostri dati)?

Tuttavia, nel silenzio che segue la “fine delle trasmissioni” tutti sono costretti a valutare sotto una nuova luce i rapporti che li legano agli altri, le proprie scelte, “la realtà” del mondo che li circonda, a contare “alla rovescia di sette in sette verso un futuro che sta prendendo forma troppo presto” (N.d.A. si tratta di un test medico utilizzato per valutare i deficit cognitivi). E soprattutto sono costretti a guardare sé stessi.

Il romanzo lascia il finale aperto, come tutti quelli di DeLillo, ma forse proprio nel rimando al “risveglio che nega la fine” va cercata la speranza – credo si possa chiamare in questo modo – dell’autore: “La gente ricomincia timidamente a farsi vedere nelle strade, con una certa cautela all’inizio, e poi sulla scia di un senso di liberazione, tutti camminano, guardano, s’interrogano, donne e uomini, drappelli casuali di adolescenti, tutti che si accompagnano vicendevolmente mentre attraversano l’insonnia di massa di questo tempo inaudito. E non è strano il fatto che certi sembrino aver accettato questa sospensione, questo guasto? Forse è qualcosa che hanno sempre desiderato a livello subliminale, subatomico?”

Come tutti i romanzi di DeLillo, Il silenzio non è di facile lettura; l’autore esige l’impegno del lettore a seguirlo, oserei dire più che in altre sue opere. I frammenti del suo pensiero vanno raccolti, elaborati, riposizionati al proprio posto come in un mosaico. A ottantaquattro anni il maestro è ancora lucido, tagliente, ironico, perfettamente e tragicamente attuale. Complimenti.

Il silenzio
 

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