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Karen Grassle, de "La casa nella Prateria" racconta l'indimenticabile epopea

I primi passi? Gli esordi? C’è anche “Santa Fe” in New Mexico nella sua vita giusto? 


Il mio primo grande amore è stato il teatro. Mi sono formata all’Università della California a Berkeley, e poi ho ottenuto un Fulbright per studiare alla London Academy of Music and Dramatic Art. Quindi, dopo, ho iniziato con il repertorio, ho recitato in Shakespeare in the Park a New York, Broadway, e ho lavorato nei palcoscenici di tutti gli Stati Uniti. Ho fatto un po’ di televisione a NY prima della serie. Dopo “La Casa nella prateria”, per un po', io e mio figlio abbiamo vissuto nel New Mexico. Lì ho fondato un teatro chiamato Resource Theatre Company, e uno dei progetti di cui vado più orgogliosa fu una produzione tutta al femminile di “Aspettando Godot”. L’abbiamo portata in tournée nel nord del New Mexico, in luoghi in cui non avevano spettacoli dal vivo, e in una prigione femminile. Un grande successo! 


Tornando a “La Casa nella prateria”. Come è stato interpretare Caroline? Molti anni sul set (10 circa) con un grande cast. 


All’inizio pensai che non mi sarebbe piaciuto interpretare la parte, perché appariva molto prudente, premurosa, anche severa se vogliamo. Poi ho capito che si trattava di una giovane donna estremamente coraggiosa, con tre bambine, una delle quali ancora neonata, che si stava dirigendo verso l’ignoto con il suo uomo. Ciò che mi sembrava negativo era in realtà la paura che lei provava. Così, presa coscienza di chi doveva essere il mio personaggio, ho iniziato a legarci sempre di più, e a provare un grande rispetto per lei. Mentre stavamo girando l'episodio pilota e ci spostavamo da un posto all’altro con il carro, rimbalzando sulle strade dismesse senza sospensioni ho pensato: “Oh ragazzi, queste donne erano così forti!!!”. Mi sono ispirata a mia madre, perché aveva avuto anche lei un “background” rurale. Andava a scuola a piedi nudi, su un cavallo, ed era diventata un’insegnante di una sola classe. Ogni cosa di lei rispecchiava la vita della “mia” Caroline. Un lavoro interiore importante, il massimo a livello recitativo. 

A chi era più attaccata della grande famiglia o del cast? Ci sono colleghi con i quali ha stretto rapporti umani più intimi? 


Ovviamente amavo tutte le bambine, ma la persona a cui mi sentivo più vicina e con la quale ero felice di lavorare era Karl Swenson, interpretava il Sig. Lars Hanson, il mugnaio, uno dei fondatori di Walnut Grove e figura di grande autorità nel piccolo paese. Feeling perfetto con Karl, poiché era un uomo che aveva un passato meraviglioso in teatro, in radio, a Hollywood, a New York. Aveva fatto tutto. Non solo un attore di talento e intellettualmente molto curioso, con lui eravamo anche allineati politicamente. Potevo sempre contare su una prolifica conversazione con Karl quando eravamo sul set.


Rapporti privati con Melissa Gilbert (Laura) o Michael Landon (Charles) dopo la fine della serie? 


La serie è stata così popolare che la gente continuava a guardarci anche dopo molti anni. Spesso ci invitavano nelle varie emittenti come cast, ma anche a visitare i musei o nelle convention dedicate a “La casa nella prateria”. In quelle occasione riuscivamo a stare insieme, come una volta, e a recuperare il tempo perduto. Quando ho lasciato il set, alla fine dell’ottava stagione, loro hanno continuato ancora per un po’, chiamandola solo “Piccola casa: Un nuovo inizio”. E anche se non ero presente sentivo comunque in cuor mio di aver dato il massimo con il lavoro precedente, di aver rispettato appieno il contratto ed era giunto il momento di lasciare. Loro erano impegnati, io poi mi sono sposata e ho messo su famiglia. Non li ho più visti per un bel po’ di anni. 

 

Qualche aneddoto che si ricorda o al quale è particolarmente affezionata? 


Ce ne sono diversi. Difficile citarne anche pochi. Un pomeriggio ad esempio, nella Simi Valley, dove era stata costruita l’intera città di Walnut Grove, Katherine MacGregor (Harriet Oleson) e io abbiamo fatto una scena pazzesca. Quel giorno faceva caldo, molto caldo. Stavamo lavorando nel negozio, a pochi metri l’una dall’altra, non c’era ventilatore, non c’era aria, il calore si era accumulato per ore. Mentre stavamo provando il sudore ci colava addosso, le persone del trucco continuavano a incipriarci in modo che non si vedesse davanti alle telecamere, ma era quasi inutile. Direi che nessuno di noi due stava dando la migliore performance (ride). Più tardi con Mike ci abbiamo poi scherzato su, riguardando il filmato insieme più volte. Gli dissi che tutto quello che stavo provando di fare era tirare fuori le mie battute sperando di riuscire a tenere gli occhi aperti. Il meglio che potessi fare in quelle condizioni estreme. 


Ci sono stati dei momenti anche di sconforto durante il lungo percorso professionale a “Walnut Grove”?  

 

Quando ho firmato per fare “Little House” mi è stato detto che se lo spettacolo fosse stato un successo il mio contratto sarebbe stato rinegoziato all’inizio della seconda stagione. Non ero nessuno, in principio avevo uno stipendio molto basso. Tuttavia quando ho chiesto un aumento ho ricevuto una spallata inaspettata da Mike, che era sia produttore che regista. E questo mi ha creato non poche difficoltà sul set. Me ne ha anche parlato: “Sai – mi disse - la rete ha fatto sondaggi sui personaggi. Il tuo non è il preferito. Ecco perché non vogliono darti un aumento”. La cosa mi dispiacque, rimasi in silenzio, eppure sapevo che avevano bisogno di una mamma come Caroline. Gli risposi (a Michael) che se non ero così importante allora avrebbe dovuto lasciarmi andare. Ci fu un attrito e i rapporti un po’ peggiorarono.

Le mie scene divennero più brevi, il mio tempo davanti alla telecamera si accorciò. Fu davvero molto doloroso, anche perché avevamo avuto un bellissimo rapporto di lavoro fin lì, e per tutta la prima stagione. Lo riporto anche nel mio libro. Anni dopo con Mike ebbi una meravigliosa conversazione telefonica mentre vivevo nel New Mexico. Gli avevo scritto solo per metterlo a conoscenza di cosa stessi facendo, per raccontargli del teatro, di mio figlio e tutto il resto. Lui mi chiese di chiamarlo, per dimenticare i malintesi pregressi. Così feci, lo contattai, e avemmo una conversazione bellissima, come se non ci fossero mai stati problemi o rancori. Ero felice di quanto avvenuto, perché poco tempo dopo lui purtroppo si ammalò. Non gli rimenava tanto da vivere. Quel chiarimento sollevò entrambi. Avevamo trovato il modo per riparare alle incomprensioni e – soprattutto – il perdono prima che si ammalasse.

Karen, lei ama l’Italia? C’è una città in particolare che preferisce del nostro Paese? 


Amore immenso per Italia! Penso che l’Italia sia il posto più stupendo da visitare. Ho sempre desiderato poter trascorrere un anno da voi. La prima volta che sono andata è stata quando studiavo a Londra. Io e le mie amiche abbiamo preso il treno da Londra, siamo arrivate a Firenze e lì abbiamo trascorso una settimana sensazionale. Non avevamo mai visto così tanta bellezza. E il cibo! E le persone! Lo spirito del popolo italiano, oh mio Dio! L’ho adorato assolutamente. Ci sono stata anche per la mia luna di miele. Non posso non amare l’Italia, Firenze in particolare. 


Un bilancio della sua vita professionale? E’ soddisfatta? C’è qualcosa che non rifarebbe? 

 

Beh, sai, ero così avida di quelle parti in Shakespeare e Ibsen e Cechov, e no, non sono riuscita a recitare tutto quello che avrei desideravo, ma mi sento comunque molto fortunata. Sono stata in grado di lavorare, sono stata in grado di guadagnarmi da vivere, sono stata in grado di fare tante parti, in diversi posti ed avere attorno persone straordinarie con cui lavorare. È fantastico, devo lavorare ancora! Voglio dire, ho 80 anni! E sono dovuta andare in Canada con un grande cast grazie al regista David Hogan nella commedia “On Golden Pond”. Gioia allo stato puro.

Poco prima della pandemia ho fatto anche “Not to Forget”, un film per famiglie davvero carino e disponibile su Amazon. Ho recitato nei panni di una nonna alle prese con le prime avvisaglie della demenza, un personaggio piuttosto particolare ma anche delizioso. E che cast abbiamo avuto!!! Wow: Cloris Leachman, Tatum O'Neal, Olympia Dukakis, George Chakiris, Louis Gossett. Sono stata terribilmente felice di ottenere quel ruolo.

Siamo in conclusione. C’è stata una sorta di contaminazione tra Karen e Caroline e tra Caroline e Karen? Le due donna hanno avuto qualcosa in comune tra loro?


Ma certo! L’amore per la famiglia prima di tutto, la lealtà verso gli amici, l’onestà e le assunzioni di responsabilità verso noi stesse. Nel momento in cui la interpretavo ho avuto qualche conflitto interiore, perché Caroline era l’iconica moglie e madre in un ruolo “confinato”, molto tradizionale. Io invece ero una convinta femminista, che marciava per l’emendamento sulla parità dei diritti, e quindi, in qualche modo, ero combattuta per il modo in cui gli sceneggiatori a volte non le davano abbastanza forza, identità. Ma nel corso degli anni ho continuato a premere, premere e lottare, sempre di più, finché pian piano sono riuscita a darle la giusta autorevolezza che meritava come donna! Credo di aver indossato bene quei panni. Le persone che incontro, e che sono state “educate” con la serie o hanno cresciuto i propri figli facendogli vedere la serie, sono molto devote a Caroline. Quando è uscito il mio libro sono rimasta sbalordita dal numero di appassionati che volevano aiutarmi, parlare con me o spargere la voce. E’ stato così gratificante. Sono molto fortunata!
 

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