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Poesia come scoperta e amore nella raccolta di Giancarmine Fiume: ¡u!
L’intreccio di una materia inverosimile conduce paradossalmente a un quotidiano reale, osservato e vissuto, tra l’esperienza e l’idealità. Così si espande e prende forma la silloge ¡u! di Giancarmine Fiume per i tipi di puntoacapo Collezione Letteraria. Il titolo ha un “non so che” di inquieto: l’Autore esclama seguendo ogni verso e anche controverso - e scrive - scegliendo un contrappasso. Si urla, si dispiega, si placa ma non è mai silente questa “u” e la si ritrova in “frastuono”, “sdrucito”, “buco”, “malincuore”, “fuso”, “battuto”, ecc.: è nel maschile che sembra consumarsi questa vocale conclusiva, occlusiva, che include al contempo il malcontento di Giancarmine Fiume. Cerca di allontanarlo - da anima ansimante - chiede desideri ad alta tensione e fiuta “nell’oscurità del pulviscolo” il mantra dell’eros.
I versi di Fiume non conoscono quiete. Scorrono dinamici alternando il cotidie di frammenti di sé e dell’altro, tentando di creare un quadro da ammirare come un uomo al cospetto della bellezza: “L’uomo nudo giace / ai margini contratti dell’etere / e dalla sommità del mattino / giunge l’eco dell’arrotino” (p. 37). Vorrebbe essere un artigiano e riattare schegge di vita sparigliate qua e là, desidera annaspare nei meandri del fango tra i tombini, mentre cerca le gambe di una donna: “Abitare nelle tue gambe / scivolare nelle correnti / nella penombra di sguardi / latenti. / Tu, scalza, danzi all’ora di punta” (p. 31). ¡u! è una ricerca dell’amore, una volontà di comprendersi intanto che le ore segnano il giorno. È all’ultimo rintocco spera che la sua donna lo segua leggera e che con lui raggiunga l’empireo.
Giancarmine Fiume sarà anche al suo esordio come scrive Michelangelo Zizzi nella prefazione: “l’esordio tardivo risulta già ripagare il tempo con la sua stessa moneta: attraverso la nozione di una scelta che è uno scambio, uno scambio simbolico”, ma l’Autore conosce già la via e segue questo signum, questo “scambio simbolico” tracciato dall’uso accurato delle parole. Se dapprima Fiume avrebbe preferito smarrirsi, dopo non rifugge, ma azzanna con forza la vita. Come un cantore dell’amore anela all’incontro: lo vive, lo consuma e si consuma perché l’amore comporta un tessere e rompere continuamente quella ‘benedetta’ o ‘maledetta’ tela. La sua ricerca tra spasmi e rigurgiti non si ferma e, anzi la fine, la rottura costituisce per Fiume un nuovo incipit; così, tra la discesa degli inferi e “l’esilio sulla strada / di luminarie spente” si giunge all’ascesa al cielo, nel paradiso con “seguimi, oltre le palpebre / così, spoglia di gravità”. Giancarmine Fiume sa forse di essere come Adamo indotto al peccato, ma svincola dalla storia ed è lui che qui in ¡u! costituisce l’emblema della salvezza e insieme alla sua “lei” si dirigono liberi nell’Eden, certi che il domani sarà foriero di nuovi conflitti, dissapori, malumori, perché in fondo questa ¡u! non vuole smettere di stupirsi, urlare, godere, vivere di “luce”, quella stessa luce che Luzi descrive collegando “l’allegoria orchestrata e non meno il simbolismo puntuale” superati “dall’energia intrinseca della luce e delle sue figure”.