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MediaTech
La vera riforma della Rai sarebbe la privatizzazione


Di Ernesto Vergani


La riforma della Rai così come illustrata dal direttore generale Luigi Giubitosi prevede l'accorpamento di TG1, TG locali e Rainews da una parte e di TG1 e TG2 dall'altra. Evidente la finalità di tagliare i costi, intervenire in particolare sulle poltrone apicali. Poi c'è una ragione di ottimizzazione dei mezzi e delle risorse. La tendenza delle grandi organizzazioni è quella della centralizzazione. Per giunta  digitalizzazione e  web impongono la continua produzione di notizie confezionate da professionisti.

I dipendenti della Rai sono 13.000, il doppio di quelli di Mediaset, il triplo di quelli di Sky. Il costo del lavoro nel 2011 (dati Mediobanca) rappresentava il 35% del fatturato contro il 13,4 di Mediaset e il 7,3 di Sky. Le perdite si aggirano intorno ai 2/300 milioni l'anno.

In anni di crisi e di spending review, quando si è stabilito che un dirigente dello Stato debba guadagnare al massimo quanto il presidente della Repubblica, è naturale pensare  che ci siano spechi nella Rai? La situazione è così drammatica che l'azienda ha deciso di rinunciare alle sue teste migliori.  "Nessun problema editoriale con Giovanni Floris - recitò il laconico comunicato di viale Mazzini. - L'azienda è pronta a rinnovare il contratto alle condizioni economiche che conosce".

Il concetto di servizio pubblico condiziona  molti  giornalisti della Rai (e alcuni suoi personaggi di punta che si guardano bene dal rendere pubblici i loro stipendi milionari) producendo un grande equivoco. Non esiste un giornalismo giusto. Nessuno è vessillifero della verità. Esiste un giornalismo professionale. Ti ascolto e do credito perché sei bravo.

Tanti giornalisti della carta stampata hanno sperimentano o sperimentano la cassa integrazione o il contratto di solidarietà. In questi mesi il sindacato dei giornalisti e gli editori hanno firmato l'accodo sull'equo compenso: 20 euro a pezzo. Una cifra che si commenta da sola. Alcuni editori quasi arrivano a fare questo ragionamento: tu scrivi gratis, io ti do visibilità. I giornalisti della Rai forse vivono da sempre come protetti dall'ombrello statale?

La colpa è del passato e delle passate gestioni. L'approdo alla professione avveniva per cooptazione. Oggi alcuni vi accedono tramite scuole. La domanda è - in entrambi i casi, anche circa le scuole -: e il merito? Quanto pesa il merito? In certi quotidiani in una redazione di settore (Economia, Cultura e Spettacoli…) lavorano 2/3 giornalisti, in certi sedi regionali della Rai complessivamente decine. La scelta vera che chiede il mercato sarebbe la totale privatizzazione in nome della libera e sana concorrenza, ma l'Italia non è ancora pronta.
 

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