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Fondi pubblici via al Foglio e Italia Oggi. Ma ad Avvenire, Libero &co restano

Com'è esattamente la questione che riguarda il finanziamento pubblico al quotidiano Il Foglio e che sta suscitando tanto dibattito in ambienti politici? A riepilogarla è Il Fatto Quotidiano di oggi: nel 2019 il Dipartimento editoria di Palazzo Chigi, che distribuisce i finanziamenti diretti ai giornali (circa 60 milioni l’anno scorso), ha ritenuto che Il Foglio (il cui editore è l’immobiliarista Walter Mainetti) e Italia Oggi (edito, in sostanza, da Class Editori) non hanno diritto ai soldi dello Stato e ha sospeso l’erogazione della seconda rata del finanziamento 2018. La decisione definitiva per entrambi andrà presa entro il 20 febbraio: a dicembre, intanto, il giornale fondato da Giuliano Ferrara ha inviato le sue contro-deduzioni a Palazzo Chigi rivendicando il suo buon diritto a ricevere fondi statali; in Senato è stato invece approvato un ordine del giorno alla manovra detto “salva Italia Oggi” proposto dalla senatrice renziana Donatella Conzatti che vorrebbe permettere a un giornale di ottenere fondi pubblici anche se è partecipato da una società quotata come Class editori.
Come nasce questa vicenda? Quella del Foglio da una vecchia indagine della Guardia di Finanza sul biennio 2009-2010 rimasta ferma per anni, come ricorda ancora Il Fatto Quotidiano. Il Foglio, di cui non esistono dati ufficiali sulle vendite, ha preso fondi pubblici quasi fin dalla nascita: all’inizio, nel 1997, diventando organo di un “partito” creato ad hoc da Marcello Pera (Forza Italia) e Marco Boato (Verdi), la Convenzione per la Giustizia. Lo stesso Ferrara, parlandone a Report nel 2006, lo definì “un trucco”, “un trucco nel senso che non era un vero partito”, “un escamotage le gale” per accedere al finanziamento: “La legge dava questa possibilità e noi l’abbiamo sfruttata”.
Dal 2001 viene eliminato il contributo diretto ai giornali di partito, a meno che non diventino cooperative. E Il Foglio si adegua ereditando il vecchio finanziamento. La Finanza contesta (per il 2009-2010) al quotidiano oggi diretto da Claudio Cerasa sia l’inesistenza del partito Convenzione per la Giustizia, sia il fatto di non essere una vera cooperativa: il giornale nega sia l’una che l’altra contestazione (come pure una terza, più tecnica, sul rapporto tra vendite e tiratura).
Qual è il punto? Anche se magari Il Foglio riuscirà a strappare una decisione a suo favore, non c’era alcun partito dietro le firme di Pera e Boato, né i cronisti a un certo punto hanno voluto dar vita a una cooperativa per editare il giornale: si trattava di escamotage per ottenere i soldi di Palazzo Chigi, necessari a tenere in vita un’azienda che in vent’anni ha assorbito circa 55 milioni di euro di fondi pubblici.
Dal punto di vista della ratio della norma né Il Foglio, né Italia Oggi hanno diritto a quei soldi, conclude Il Fatto Quotidiano: i fondi di Palazzo Chigi vogliono aiutare, appunto, le cooperative di giornalisti, le testate dedicate alle minoranze linguistiche o ai non vedenti o edite da enti non profit (parrocchie, onlus) e associazioni dei consumatori. Il problema semmai è questo: ha diritto a quei soldi Libero – che pure ha un editore (Angelucci) – e nel 2018 si è portato a casa 5,5 milioni? Ne ha diritto il giornale dei vescovi, Avvenire (5,4 milioni)? Ne ha diritto Il Quotidiano del Sud di cui ha preso il comando l’ex direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano (2,9 milioni)?
L'ARTICOLO DE "IL FOGLIO"
Un tentativo che non riuscirà per colpire il Foglio e cercare di chiuderlo
Con un lungo articolo il quotidiano fondato da Giuliano Ferrara nel 1996 e diretto da Claudio Cerasa, ha spiegato come all’origine dell’esclusione ci sia un’indagine in corso della Guardia di Finanza legata ad accertamenti sui contributi per gli anni 2009-2010. Inchiesta, rimarca il giornale “giacente da sette anni nei cassetti”, rispolverata “nell’era Salvini-Di Maio”. Il verbale della Finanza – si legge sul Foglio – stabiliva che il quotidiano “non aveva diritto in quel biennio ai contributi di legge perché non aveva raggiunto la percentuale del 25 per cento delle vendite calcolate sull’intera tiratura, il che è falso e è stato dimostrato falso nelle nostre controdeduzioni, cosa che qualunque tribunale civile è in grado di decidere in qualunque momento”.Secondo la Finanza “il Foglio era organo di un movimento inesistente la Convenzione per la giustizia, il che era gravemente falso, visto che il movimento esisteva, aveva tenuto un suo congresso di fondazione a Firenze, perfino alla presenza di Marco Travaglio”. Infine la cooperativa per la Finanza non era una vera cooperativa in quanto le forze che avevano dato origine al Foglio come Srl vi erano rappresentate e la sostenevano in relazione alla valorizzazione della testata, che il Foglio aveva da loro in affitto. “È l’ultima falsificazione di una serie”, scrive il quotidiano.
“In base a questi falsi materiali, su cui i tribunali dovranno decidere, la pretesa dell’autorità politica e burocratica delegata a confermare o cancellare l’erogazione dei contributi all’editoria è di indurre il Foglio a una grave crisi editoriale, eventualmente alla chiusura, conclude il giornale, intimandogli la restituzione di sei milioni circa di euro per il biennio già menzionato e nel frattempo sospendendo l’erogazione di contributi a titolo di garanzia, procedendo senza nemmeno ancora avere acquisito la controrelazione del giornale rispetto al verbale dei finanzieri, il che è addirittura enorme, madornale”. “L’aria che tira è quella di un attacco proditorio a un giornale che è tra le più trasparenti macchine amministrative nel panorama dell’editoria italiana”.
Immediata la reazione in difesa del quotidiano, con l’hashtag #foglianti che ha preso piede sui social. Oltre ai lettori, anche diversi esponenti politici hanno detto la loro.“Chi vuole chiudere Il Foglio sappia che noi difenderemo questa voce libera dell’informazione come abbiamo difeso Radio Radicale. Pancia a terra, tutti insieme, @ilfoglio_it deve vivere”, ha twittato Matteo Renzi.