La prima pagina è morta: il futuro (digitale) del giornalismo
@paolofiore
Per capire dove va il giornalismo, un team del New York Times ha lavorato sei mesi e prodotto un malloppo di 80 pagine, intitolato Innovation. Cosa ne è uscito? Un'indicazione chiara e, ormai, non più sorprendente è: digital first. Pare un'eternità, ma solo sette anni fa, l'online del quotidiano aveva una sede distaccata rispetto al cartaceo. La struttura del giornale dovrebbe ora abbandonare le vecchie logiche e cambiare passo. Come? Neppure il Nty ha una ricetta magica. Ma qualche indicazione sì.
La prima: lo sforzo principale è conquistare i lettori. Janine Gipson del Guardian lo dice chiaramente: "Non esiste più un pubblico dato una volta per tutte". Gli utenti vanno conquistati. E non solo con le notizie. "I giornali - si legge nel documento - smettano di individuare i concorrenti solo in base ai contenuti". La sopravvivenza si gioca anche "sulla strategia social e sulla capacità di creare comunità". Tra le fonti di informazione citate c'è BuzzFeed, mentre tra i vecchi cartacei, il Guardian ha capito prima di altri l'evoluzione in corso.
In sostanza: non è tempo di fare gli snob. La gestione del giornale deve essere affidato a un team di esperti social e giornalisti. I redattori devono cambiare atteggiamento, con un occhio ai contenuti e uno a grafica e coinvolgimento. Produrre non è nulla senza promuovere. L'Huffington Post Usa, ad esempio, non pubblica pezzi se non sono stati preparati anche foto, un post per Facebook accompagnato da alcune righe e (almeno) un tweet.
Nello studio, il Nyt mette a nudo i propri difetti e ha l'onestà di citare concorrenti che, invece, ci sanno fare. Ad esempio nella gestione dei social. Il giornale americano ammette che solo il 10% deltraffico arriva dalle piattaforme sociali. BuzzFeed fa sei volte tanto. E - si legge senza troppi giri di parole - se non ci diamo una mossa "saremo surclassati". "Serve ampliare il personale dedicato ai social e inserirlo nei mecccanismi di redazione". Con un suggerimento in più: i responsabile dei social media non devono (solo) promuovere il lavoro dei giornalisti (a quello dovrebbero pensarci anche i giornalisti). Devono anche cercare informazioni, tenere il polso del web e ascoltando i lettori.
L'hanno ribattezzato "social power". Cosa significa? Lo si vede in questo grafico che descrive lo strapotere di Facebook (anche rispetto a Google) e l'ascesa dei contatti da social network.

Ma se la linea gialla sale, quella blu precipita. Perché? Ce lo spiega ancora meglio questa immagine: da maggio 2012 a maggio 2013, le pagine viste del Nyt sono stabili. A cadere sono i visitatori della Home Page.

Secondo gli autori di Innovation, la prima pagina è morta (o quasi). I nuovi utenti arrivano ai contenuti seguendo i mille rivoli di internet. L'attenzione maniacale alla home page sarebbe un retaggio del vecchio giornalismo e va ridimensionata: il Nyt usa il termine de-emphasize: spogliare la "prima" dell'enfasi che le si tributa.
Un'altra base del cambiamento riguarda la grafica. Non inteso come semplice design, ma come confezionamento (packaging) della notizia. Il modello in questo caso è Flipboard, un'app che non produce contenuti ma impagina notizie altrui con una veste grafica di grande impatto visivo. La domanda è: perché delegare a Flipboard la scelta dell'abito giusto? Perché non fare tutto in casa? L'impatto delle immagini e il cambiamento grafico non sono solo fondamentali per la promozione della notizia. Sono utili perché, con un semplice (ma studiato) restyling, un vecchio articolo può riprendere vita e diventare virale. Perché una delle sfide sarà tenere in vita un contenuto il più a lungo possibile.
Social, internet, grafica. Certo, ma da dove arrivano gli incassi? Ancora oggi gran parte del fatturato arriva dalla carta. Ma questo, si legge, "è solo un elemento che ci ha permesso di prendere tempo" ed è "destinato a erodersi". Natan Ashby Kuhlman, capo dell'area digitale del Nyt è stato più brusco: "La carta è una forza conservatrice". Digital first. A patto che sia il punto d'inizio e non la soluzione ai problemi del giornalismo.