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Il caso del Messico. Anche nel 2020 non è stato un paese per giornalisti

Giornalisti uccisi in Messico: i casi più recenti

“Il Messico non è un paese per giornalisti”. Dal report annuale dell’International federation of journalists (Ifj) risulta che nel 2020 sono stati circa 42 nel mondo i giornalisti che hanno perso la vita mentre svolgevano il proprio lavoro, e 235 quelli imprigionati dai governi delle nazioni a causa di attività ritenute scomode, 50 in totale le morti, secondo gli ultimi dati più recenti. Ma è solo in Messico che nel 2020 sono stati compiuti 13 omicidi, ragione per cui è stato definito come il paese più letale per i professionisti dell’informazione, superando il Pakistan al secondo posto  con 5 uccisioni nel 2020, l’Afghanistan, l’India, l’Iraq e la Nigeria. Nel World Press Freedom Index di Rsf (report annuale su grado di libertà, espressione e indipendenza dei media su scala globale) il Messico oscilla tra la 143° e la 144° posizione (su 180 paesi), negli ultimi due anni. Dal 2000 a ora, il numero delle vittime nel paese si attesta a più di 100.

In genere si tratta di assassinii per rappresaglia, oppure durante incarichi diventati pericolosi, o la copertura di proteste e manifestazioni. Quella di Víctor Álvarez Chávez, scomparso il 10 aprile scorso, direttore di PuntoxPunto Noticias ad Acapulco, è stata definita “un’esecuzione in piena regola, perché di Alvarez è stata recapitata solo la testa, lasciata a lato di una scuola superiore nel distretto di Ciudad Renacimiento”. Come denunciato dall’organizzazione messicana per la libertà di stampa Artículo19, Alvarez dopo aver lavorato sulla zona del porto della città era stato oggetto di minacce da parte di un’organizzazione criminale. Uguali minacce sono state denunciate su Twitter da Justicia Para Todos, come riporta Irpimedia, attraverso la ripresa di un tweet proveniente da un account di non chiara identità, noto per i cinguettii a tema mattanza sulla città, hashtag #matapulco. In particolare l’account aveva diffuso una foto delle minacce che i narcos avrebbero fatto girare su whatsapp con una lista di sette giornalisti locali, tra cui Alvarez, e un corrispondente nazionale, il cui testo diceva: “Comunicato ai giornalisti di Acapulco, Guerrero. Questo vale per tutti i giornalisti che continuano a giocare ai coraggiosi, o vi mettete in riga da soli o vi mettiamo in riga noi, vi abbiamo già identificati. La pulizia è già cominciata per i giornalisti”.

Prima di Alvarez, il Messico all’inizio del 2020 ha visto l’omicidio di Fidel Ávila, un operatore radiofonico scomparso a novembre (2019) e poi ritrovato privo di vita il 9 gennaio a Michoacán, e poi della giornalista Maria Elena Ferral, uccisa il 30 marzo a colpi di arma da fuoco, nello stato orientale di Veracruz, ”uno dei peggiori in termini di violenza contro i giornalisti”. Ancora in Veracruz, a settembre 2020 è stato ucciso il 44enne Julio Valdivia di Diario El Mundo della città di Cordoba, omicidio che a detta degli investigatori “è quasi scontato” che abbia avuto dietro "la mano dei cartelli locali che controllano i settori emergenti". Altri 3 omicidi, tra ottobre e novembre: quello del reporter Arturo Alba Medina, 49 anni, conduttore del telegiornale locale della città di Juárez, ucciso il 29 ottobre da dieci colpi d’arma da fuoco, da una gang locale, mentre guidava vicino alla frontiera della città. Gli atri due giornalisti messicani ad aver perso la vita sono Israel Vázquez, freddato in strada mentre lavorava a un rapporto, in diretta streaming, dalla scena di un'esecuzione del cartello, e Jesús Alfonso Piñuelas, fondatore di Zarathustra Press e El Shock de la Noticia, ucciso a colpi di arma da fuoco il 2 novembre a Cajeme, nello stato di Sonora, nel Messico settentrionale.

Minaccia ai finanziamenti del programma di protezione dei giornalisti

Nell'ambito di una serie di ingenti tagli per rimediare alle perdite economiche causate dalla pandemia di Covid-19, il governo messicano, come riportato da Rsf, ha deciso di eliminare 109 "fideicomisos", fondi fiduciari statali semi-indipendenti che servivano a finanziare attività senza scopo di lucro, dal cinema allo sport. In particolare è stata approvata lo scorso ottobre la legge che ha bloccato i finanziamenti per il “meccanismo di protezione” dei giornalisti e dei difensori dei diritti umani che ricevono minacce di morte, nonostante gli innumerevoli avvertimenti da parte della società civile. Molti dei beneficiari del meccanismo federale, comprese le famiglie di giornalisti che hanno cercato rifugio a Città del Messico, hanno detto a Rsf di essere molto preoccupati per la totale incertezza sul loro futuro. “L'eliminazione del fondo fiduciario del meccanismo federale renderà inevitabilmente più difficile e complesso il processo di richiesta e di ottenimento della protezione (alla Secretaria de Gobernación), con ostacoli burocratici che potrebbero mettere in pericolo la sicurezza e la vita dei richiedenti stessi”. Il meccanismo comprende attualmente, si calcola, 1.304 beneficiari, di cui 418 giornalisti (111 donne e 307 uomini) e 886 difensori dei diritti umani (471 donne e 415 uomini).

Una "strage impunita"

Il Messico rimane uno dei paesi con il più alto indice di impunità al mondo in tema di omicidi di giornalisti, secondo i dati del Committee to Protect Journalists (Cpj), in base ai quali “nella stragrande maggioranza dei casi nessun sospettato viene condannato”. “Uno dei paesi più letali al mondo per i giornalisti”, spiega Cpj, in cui "se vuoi uccidere un giornalista, puoi farlo senza il rischio di essere catturato", come ha dichiarato al Guardian Jan-Albert Hootsen, rappresentante Cpj Messico. "È in corso una crisi di violenza e impunità. E dato che nessun governo messicano ha fatto un serio tentativo per combattere l'impunità, la situazione è costantemente peggiorata".

 

 

 

 

 

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