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Salvate il soldato Gruber. Lilli e quell'ossessione per Matteo

di Vincenzo Olita, Presidente di Società Libera

 

A chi è capitato, nell'ultimo anno, di assistere su La7 al programma quotidiano di approfondimento politico Otto e Mezzo non sarà sfuggito che la conduttrice Lilli Gruber, qualsiasi sia l'argomento trattato, non riesce a fare a meno di evocare Salvini con impressionante periodicità. Supportata da un paio di ospiti in studio, con funzione di spalla, figura nobile e fondamentale nella commedia dell'arte, la Gruber interpreta un confuso mix di ruolo, giornalista e politologa, con il risultato della non attendibilità in nessuno dei due.

Assolutamente prevedibile nelle domande che tendono a riportare su Salvini qualsivoglia responsabilità, il più delle volte, apolitici e sentimentali i ragionamenti, le analisi e le considerazioni espressi in fase di interlocuzione.

Un osservatore superficiale potrebbe valutare questo comportamento, ossessivo, come psicopatologico ma, fortunatamente, così non è, la giornalista esprime solo una forte e radicata militanza politica, ipersensibile all'attività dell'avversario politico.

Non abbiamo particolare simpatia per Salvini nè come uomo di governo, nè tantomeno come statista,  ma allo stesso tempo non amiamo un'informazione militante e partigiana ammantata di pluralismo. Una società aperta, a cui aspiriamo, contempla un giornalismo attento e parimente critico verso il potere e la sua opposizione, purtroppo professionalità rare in un Paese in cui l'informazione si connota sempre più come un sottoprodotto della lotta politica.

La Gruber ne è un plastico esempio, avrebbe necessità di essere confortata da un sincero politologo, capace di intendere la dinamica politica, e da uno psicologo sociale capace, senza essere Gustav Le Bon, di intendere i primi rudimenti della Psicologia delle Folle.

Con questo sostegno, forse, la volenterosa giornalista potrebbe riuscire a smettere i panni della militanza prendendo coscienza che il suo maldestro essere combattente per una causa produce solo un buon beneficio d'immagine alla controparte politica.

 

      

 

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