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Startup, Guidotti (U-Start): “Non c'è solo il venture capital”
Il ceo di U-Start: "Nel 2016 prevediamo di raggiungere 90 membri e 15 milioni di investimenti totali"
U-Start riparte nel 2016 come aveva finito il 2015: investendo. E' un venture capital advisor firm e, tramite U-Start Club, convoglia investitori privati verso operazioni ad alto potenziale in ambito tech e digital. Pochi giorni fa, tre milioni investiti in tre club deal: Tok.tv, Zipjet e Hotelscan.
Alla fine del 2015 U-Start Club aveva 60 soci coinvolti e 8 milioni di investimenti. “Nel 2016 prevediamo di raggiungere 90 membri e 15 milioni di investimenti totali”, afferma il ceo e founder Stefano Guidotti. Che guarda con interesse all'intreccio tra venture e risparmio gestito (anche grazie all'ingresso di Kairos nel capitale). E alle startup in cerca di finanziamenti consiglia di "capire se è veramente necessario raccogliere denaro nel mercato del venture capital. Non tutte le società sono in grado di garantire la crescita necessaria per soddisfare le richieste dei loro investitori".
L'INTERVISTA
Partiamo dalla fine: pochi giorni fa tre nuovi investimenti. Perché puntare sull’entertainment e sui servizi alla persona?
Sono trend che abbiamo reputato molto interessanti, ma sono solo due delle decine che seguiamo. Nell'ultimo anno, infatti, i membri del nostro Club hanno investito in società operanti nei settori food- tech, fin-tech, IoT, consumer web, mobile, travel.
Alla fine del primo anno di attività, U-Start Club aveva 60 soci coinvolti, per 8 milioni di investimenti. Quali sono i numeri oggi e qual è la previsione per la fine del secondo anno di attività?
Attualmente U-Start Club conta circa 14 milioni di investimenti in 17 società e più di 75 membri, tra cui ci sono quasi tutte le nuove generazioni delle grandi dinastie imprenditoriali italiane, i manager e gli imprenditori di prima generazione. Nel 2016 prevediamo di raggiungere 90 membri e 15 di milioni di investimenti totali.
Come avviene lo scouting delle startup e quali sono le caratteristiche che non possono mancare?
Nel nostro lavoro lo scouting è una parte cruciale. Cerchiamo le opportunità di investimento in maniera attiva sfruttando le solide relazioni che abbiamo costruito negli anni con alcuni dei migliori - per risultati ottenuti - fondi di Venture Capital in Europa e negli Stati Uniti, e da questi traiamo gran parte del nostro “deal flow”. Così facendo selezioniamo solo business che hanno già passato i processi di valutazione e di analisi dei fondi stessi. Il nostro lavoro è un ulteriore filtro che ci permette di presentare ai membri del Club solo le migliori società: nel 2015 a fronte di oltre 500 opportunità di co- investimento presentateci dai nostri partner, solo 20 sono state proposte ai soci di U-Start Club. Oltre alla qualità dei co-investitori, i parametri che guidano le nostre decisioni sono: qualità del team manageriale/imprenditoriale; realtà che abbiano come obiettivo mercati potenziali ampi del valore di circa 1 miliardo di EUR/USD; modello di business valido, già testato e funzionante; valutazioni che permettano a chi investe di perseguire obiettivi di ritorno interessanti e realistici.
Cosa vi ha convinto delle italiane nel vostro portafoglio (Tok.tv, Supermercato24, Marinanow, Satispay)?
Tutte le società citate operano all’interno di un mercato ampio e non esclusivamente italiano, vantano un team solido e un ottimo contesto di investimento. Tutte caratteristiche alla base delle nostre scelte.
Cosa comporta l'ingresso di Kairos?
Prima di tutto porterà alla nascita di U-Start Advisor SIM che una volta avuta l’autorizzazione. offrirà ai clienti di Kairos il supporto per la costruzione di portafogli di investimenti diretti in società tecnologiche, selezionate di volta in volta in funzione dei loro interessi, competenze e profili di rischio. Inoltre, questi ultimi potranno accedere ai servizi di formazione e di networking riservati ai membri di U-Start Club, volti a fornire una completa comprensione delle dinamiche e degli attori del mondo digitale, come l’Investor Academy, il Magazine, i webinar mensili e gli incontri con imprenditori e investitori digitali di livello internazionale.
In Italia il mondo del venture è ancora piccolo. La collaborazione con il risparmio gestito è una strada possibile per ampliare la capacità d'investimento?
Assolutamente si. E' molto importante trovare modi alternativi e innovativi per sbloccare i capitali verso l'economia reale. L’unione con Kairos ci permetterà di far avvicinare gli investitori al settore del Venture Capital in Italia. E’ necessaria una vera e propria attività di formazione che fornisca agli investitori una completa comprensione delle dinamiche del mercato.
Fare distinzioni di settore è sempre limitativo. Però: quali sono i settori che stanno mostrando le maggiori potenzialità per gli investitori?
È molto difficile delimitare il campo delle società tech più interessanti. Per nostra natura siamo agnostici e opportunistici sia in termini di settori che di presenza geografica. Le innovazioni tecnologiche e le opportunità che i trend macro-economici oggi offrono (dalla penetrazione di internet alla diffusione di smartphone di ultima generazione) rendono potenzialmente dirompenti i business in una vastissima gamma di settori industriali.
Perché il venture italiano è ancora così limitato rispetto ad altri Paesi?
Il Venture Capital in Italia, pur essendo una asset class nata più di 20 anni fa, ha vissuto dopo la bolla di internet dei primi anni 2000 un periodo di torpore totale. Solo negli ultimi anni ha ricominciato a costruirsi una filiera del Venture un po’ strutturata che, tuttavia, fino a poco più di 12 mesi fa era caratterizzata nella maggior parte dei casi da attori con dimensioni molto limitate, soprattutto se paragonati agli omologhi inglesi, francesi, tedeschi e spagnoli. Tra il 2014 e il 2015 abbiamo assistito, anche grazie all'importante contributo del Fondo Italiano, a un miglioramento e a un maggior dimensionamento dei fondi di venture capital. Mancano però ancora i contributi di alcune parti della filiera che reputo fondamentali: i grandi capitali privati e le grandi corporate. La speranza è che tale tendenza si inverta nel medio termine.
Si dice spesso che in Italia ci siano le idee ma non i capitali. E' davvero così o anche le startup (poche quelle in grado di scalare) hanno le loro colpe?
Gli investimenti in Italia sono pochi ma ciò non dipende solo dalla mancanza di capitali. Le società troppo spesso guardano solamente al mercato italiano con prospettive di crescita troppo basse per poter interessare gli investitori privati. Negli ultimi anni stiamo assistendo a una controtendenza; anche all'interno delle startup italiane iniziano a essere presenti soci fondatori che, grazie al loro background internazionale, creano società con un modello di business molto più attrattivo per l'investitore.
È davvero finita l'era degli unicorni? La fine delle vacche grasse è un problema oppure spinge alla maturazione del mercato?
Noi non abbiamo mai guardato agli unicorni come obiettivo imprescindibile. L’interesse principale di chi investe in venture capital è chiaramente ottenere ritorni dell’investimento che ripaghino il rischio di questa asset class. L'aggiustamento del mercato è un fattore positivo perché spinge gli investitori e le società a focalizzarsi sui fondamentali di business e dell'economia, permettendo una maggiore correlazione tra il successo dell’azienda e il modo in cui è gestita.
Un consiglio alle startup che sono in cerca di investitori e uno agli investitori che sono in cerca di startup.
Il mio consiglio è di capire se è veramente necessario, per loro, raccogliere denaro nel mercato del venture capital. Non tutte le società sono in grado di garantire la crescita necessaria per soddisfare le richieste dei loro investitori e molto spesso altre forme di finanziamento si rivelano più adatte alle esigenze delle società più giovani.