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Rai dilaniata dalle lotte per potere e soldi. Fazio & co? Chi va via non torni
Fabio Fazio
di  AESSE
 
L'attesa spasmodica per la nomina del nuovo Dg della Rai sembra  terminata.  Il CdA si è riunito sotto la presidenza di Monica Maggioni per prendere atto delle dimissioni e nominare il successore nella persona del  direttore del Tg Uno, Mario Orfeo . Il manager cinquantatreenne Antonio Campo Dall'Orto, che si era fatto le ossa a MTV - una emittente mondiale votata alla musica - e a La7, con risultati deficitari, se ne va dopo meno di due anni (era stato nominato nel 2015) senza chiedere nessuna liquidazione, nessuna buona uscita, nemmeno un trasferimento a Rai International  o a alla Sede di New York, come hanno fatto altri dirigenti. Un manager Campo Dall'Orto poco conosciuto dal grande pubblico, ma non nel magico cerchio politico tipo La Leopolda, con un buon curriculum professionale, con esperienze anche all'Estero, dove conta di tornare, avendo anche  moglie tedesca.  Sarà un emigrante di lusso. Si chiude così una lunga pagina ma non è detto che le incertezze, le spine, i problemi . i contrasti e le pressioni cui è sottoposta la Rai finiscano come per incanto. Anzi. Due dei più tenaci, competenti e appassionati  consiglieri, come Carlo Freccero e Arturo Diaconale, hanno già avvertito nei giorni scorsi in una lettera al Corriere della Sera che in fondi al tunnel alla Rai potrebbe essere riservato un destino come quello dell'Alitalia.
 
L'attesa, più che spasmodica, nevrotica, ha coinvolto non tanto il pubblico, gli utenti, gli spettatori, quanto piuttosto il mondo politico e sindacale, il mondo imprenditoriale, perché in qualche modo la Rai, se non è etero diretta, deve rendere conto a molti ed è influenzata da molti. Ecco perché l'attesa è stata paragonata a un verdetto nelle finali delle partite di calcio, magari  con un gol  a tempo scaduto, un rigore-regalo un attimo prima  del triplice fischietto dell'arbitro-dominus. Oppure  del pugile, il tuo idolo, che per te sì ha vinto ma l'arbitro tarda ad alzarne il braccio,  O il trionfo - finalmente - della Rossa Ferrari targata Marchionne, o il guizzo audace e pericoloso al traguardo dello sprinter ritto sui pedali. O in politica la vittoria - assicurata dai sondaggi - o la sconfitta - decretata dagli  exit-poll  risultati inaffidabili davanti alla dura realtà degli scrutini, come il caso inglese insegna proprio oggi. Difficile stabilire quali  sentimenti  suscitano nel pubblico queste  opposte  soluzioni. Se più il riso o più il pianto. O niente,  perché, in politica, l'uno vale l'altro. Ma il divo sconfitto, il leader caduto,  l'idolo infranto danno quasi sempre un sadico, nascosto piacere. Per dirlo in termini spiccioli, alla maggior parte della gente, ai telespettatori  - e specie a quelli che guardano i programmi  Rai mattina, pomeriggio e sera, e che - secondo le statistiche  e le valutazioni degli analisti- si tratta per lo più delle classi mature e di anziani, (i giovani virano su Netflix, Sky, ATLANTIC, SUI PROGRAMMI "On Demand"  e in parte su LA7 che, dopo decenni, sembrerebbe, grazie al "Patròn" Urbano Cairo -individuato come il nuovo  Berlusconi  - e ai nuovi acquisti,  prossima  ad attestarsi come per tanto tempo invocato "Terzo Polo" e per questo intensifica trasmissioni di servizio (cosa mangiare, che cosa fa bene, dove andare in vacanza,come far fronte ai cambiamenti climatici,ecc,,) non importa un gran che, per non dire nulla, di chi sarà il nuoco DG della Rai. 
 
Ecco perché sosteniamo che la nomina due anni fa di  Antonio Campo Dall'Orto non ha fatto né caldo né freddo alla massa. E neanche quella a Presidente della Maggioni, che pure aveva seguito i Marines americani  nella guerra del Golfo e aveva intervistato  il dittatore siriano Assad.  Diverso sarebbe stato, ad esempio, se  queste cariche - o incarichi, o compiti -  fossero  andate,  mettiamo, a Bruno Vespa, a Pippo Baudo, a Maurizio Costanzo o a Maria De Filippi o a Paolo Mieli, che è stato direttore di giornali e di editrici, storico, a un politico come Walter Veltroni. O anche a Michele Santoro. Non sembri un'ipotesi assurda questa. Santoro non è nemico della RAI, né un nemico di  se stesso. Da quel ruolo non farebbe gli interessi propri, ma dell'Azienda. Proprio ciò che voleva fare Mauro Masi, che con Santoro ebbe un clamoroso e storico contrasto che portò alle sue dimissioni e confermò ancora una volta come la Rai possa andare facilmente allo sbando se manca una guida sicura ed equilibrata che possa conciliare le diverse forze in campo come aveva saputo fare  Ettore Bernabei  e il suo immediato successore  Biagio AGNES. La progressiva anarchia ha fatto prendere posizioni di potere a questo o a quello, a quel satrapo e a quell'altro, a questo o quel conduttore, questo o quel  giornalista, fino  a quando qualcuno non ha pronunciato l'anatema "la Rai non è di X." volendo dire che è di "Y". Cioè "Mia".
 
Se si domanda in giro "che cosa succede alla Rai", forse per tutta risposta si avrà  un borbottio. In questi due anni, ma soprattutto negli ultimi mesi, si è assistito a una ridda di ipotesi, di polemiche, di richieste, ma anche di allusioni e forse di ricatti ("allora me ne vado", "passo a Mediaset",  "Mi vogliono a Sky")  basate soprattutto su calcoli e aspetti economici. Nicola Savino, dopo aver condotto per due anni "Quelli che il calcio…", è passato a Mediaset senza fare clamore.
 
Fabio Fazio, con  la più alta retribuzione in assoluto, ha pronunciato parole che i giornali ritengono quasi offensive e comunque freudiane. "Quelli con cui ho lavorato - ha detto -ormai sono in pensione e l'unico che è rimasto e il Cavallo di Viale Mazzini  con cui ho un rapporto eccellente".  Una battuta  che vale più dell'intero  racconto del  film "L'uomo che sussurrava ai cavalli". Almeno quei cavalli erano veri. Fazio si dimentica che il cavallo Rai non solo è di bronzo ma è anche morente. Una frase comunque del conduttore da 33 anni in Rai (ne trascorrerà altrettanti da una Tv  all'altra?)  che per un autorevole quotidiano romano   "è l'epitaffio più carico e grave di un saluto distratto e mascherato". Epitaffio, cioè targa.
 
Fazio e altri, se emigrano, non dovrebbero più tornare, come sosteneva sempre Enzo Biagi. In Rai, se il budget diventa insufficiente e  l'azienda va in deficit, c'è sempre il ricorso all'aumento del canone e l'accollo in bolletta - invenzione recente anti-evasione che ha prodotto introiti favolosi. Ci sono i palazzi. C'è Saxa Rubra, Viale Mazzini, appunto, la mitica Via Teulada e gli Studi del Nomentano,  attualmente sotto bonifica  dall'amianto. Ma c'è chi dalla Rai non è mai uscito e non vuole uscire. "Dove vado?". Chi si accontenta gode. Domani è un altro giorno.  Col nuovo DG, Mario Orfeo, che forse dura un anno, forse tre e che comunque è atteso da non facili compiti. 
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