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Travaglio querelato da Ghedini. Il Grande Inquisitore scorda Renzi

Partiamo, come sempre, dalla notizia: Niccolò Ghedini, avvocato di Silvio Berlusconi, ha annunciato di voler denunciare Marco Travaglio dopo aver letto il suo ultimo libro dall’eloquente e supponente titolo: “B. come basta!”.

Ha infatti esternato:

"Dichiarazioni assurde in ordine ad un presunto rapporto del presidente Berlusconi con organizzazioni criminali mafiose sono destituite di ogni fondamento e saranno oggetto delle opportune azioni di fronte alla autorità giudiziaria competente". 

Ma chi è Marco il Giusto?

Marco Travaglio, direttore de Il Fatto, ha costruito la sua fortuna giornalistica grazie alle polemiche giustizialiste che hanno catturato da sempre quella parte della società italiana (circa 1/3) predisposta geneticamente alla lite continua.

È figlio di un geometra torinese (così si legge su Wikipedia) che lavorava per la Fiat Treni. Infanzia e adolescenza regolari con studi classici dai salesiani (toh proprio come Berlusconi, da lui denominato B.) e apprezzata laurea in storia moderna a Torino (dove è nato nel 1964).

L’evento clou della sua esistenza è l’incontro con Indro Montanelli che lo porta a Il Giornale dove lavora dal 1987 al 1994, testata che poi lascia con Indro che fonda La Voce che però chiude nel 1995.

Nel 1992, sempre su Wikipedia si legge che rifiuta Repubblica perché troppo vicino ad ambienti comunisti.

Dopo la chiusura de La Voce si accontenta del freelanciato con Il Messaggero, Il Giorno, l’Indipendente e il Borghese, tutti giornali (tranne il quotidiano romano) di destra.

Nel 1998 c’è invece la conversione a sinistra con la collaborazione fino al 2009 a Repubblica, che aveva rifiutato in passato proprio perché si è sempre dichiarato un conservatore (povero Montanelli, chissà cosa deve aver pensato…).

Il clima del giornale romano lo catalizza sull’odiato B. e scrive con Elio Veltri L’odore dei soldi nel 2001 e dal 2002 al 2009 collabora addirittura all’Unità, chiamato da Furio Colombo ed Antonio Padellaro.

Nel 2009 è tra i fondatori de Il Fatto Quotidiano di cui diviene direttore nel 2015.

Indro Montanelli lo definì nella prefazione di un libro il Grande Inquisitore (riferendosi alla figura chiave dei Fratelli Karamazov di Fëdor Michajlovič Dostoevskij) e lui non fa nulla per smentire la nomea, attirandosi le simpatie di magistrati ed ex magistrati giustizialisti.

Grande sostenitore prima di Antonio Di Pietro e poi, naturalmente, di Beppe Grillo, vede nei Cinque Stelle la “cura” per la società malata. Idea nobile se non fosse che spesso  i curatori sono peggio dei curati.

Da qualche tempo Silvio se la godeva perché, in concomitanza con l’esilio politico dell’ex cavaliere iniziato nel 2011, era comparso nel frattempo sulla scena un nuovo e gustoso bersaglio per Travaglio, Matteo Renzi che, infatti, è stato abbondantemente massacrato negli ultimi 7 anni dal “Grande Inquisitore”, ma nulla è per sempre, deve aver pensato il segretario del Pd.

Come noto da qualche tempo un Silvio ringalluzzito nonostante l’età è ricomparso sulla scena politica e mediatica.

A questo punto il giornalista torinese ha fatto un po’ come quei generali che hanno due armate che combattono su fronti lontani, ad est ed a ovest. Svanito, per ora, il pericolo Renzi si è rimesso in moto contro il suo pallino storico, appunto B. arrivando alla pubblicazione del libro che ha fatto infuriare l’avvocato Ghedini.

Per ora Renzi ringrazia e si può godere sonni sostanzialmente tranquilli, visto che il Grande Inquisitore è tornato al suo primo grande amore e l’odio, si sa, è come il diamante: è per sempre.

 

 

Tags:
marca travaglioniccolò ghedinisilvio berlusconiindro montanelli





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