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Medicina
Aids, i migranti rappresentano il 39% dei nuovi casi di Hiv in Europa

Il fenomeno delle migrazioni non è di per sé causa dell'aumento delle infezioni da HIV, ma costituisce una componente che aggrava il problema dei contagi. Se ne è parlato all'università di Siena, in occasione della IX edizione del Congresso Icar (Italian Conference on Aids and Antiviral Research) organizzato sotto l'egida della Simit, Società italiana di malattie infettive e tropicali. "Nel 2015 i migranti hanno rappresentato il 39% dei nuovi casi diagnosticati di HIV in Europa.

In alcuni Paesi, in Svezia ad esempio, raggiungono il 75% delle nuove diagnosi. In Italia sono il 28% - spiega Julia Del Amo, professoressa in scienze biomediche all'Istituto sanitario Carlo III di Madrid - E' importante tuttavia sottolineare che solo una parte dei migranti arrivano in Europa affetti dalla malattia: in relazione per esempio all'Africa sub-sahariana, una delle aree del mondo più colpite, solo la metà di coloro che giungono nel nostro continente hanno già l'HIV. E' necessario dunque fare maggiore prevenzione".

"Per alcuni gruppi specifici, come i migranti omosessuali (maschi che fanno sesso con maschi, Msm) - prosegue Del Almo - la probabilità di contrarre il virus dopo la migrazione è assai elevata, arrivando al 72%. Non meno preoccupante il fenomeno che scaturisce dai contatti eterosessuali, che provocano il contagio tra gli immigrati provenienti dall'Africa sub-sahariana in oltre il 50% dei casi".

Complessivamente, rilevano gli esperti intervenuti all'Icar, non c'è abbastanza consapevolezza di ciò che accade: troppo spesso infatti si pensa che i migranti portino l'HIV dall'Africa nei nostri Paesi. In realtà - osservano - in alcuni casi, come in Grecia, il 95,3% delle infezioni tra migranti avviene proprio nelle aree di accoglienza. Serve dunque una campagna di sensibilizzazione e di informazione, che - ribadiscono - deve essere accompagnata da un'adeguata campagna di prevenzione.

Oggi - notano ancora gli esperti - persiste una disparità nei trattamenti a danno dei migranti, che a causa di un ridotto accesso non possono usare strumenti di prevenzione e non riescono a eseguire test per valutare lo stato dell'infezione. "Il messaggio deve essere di lotta alla discriminazione, al razzismo e alla xenofobia - ammonisce Del Amo - il rischio di trasmissione diretta di HIV dai migranti alla popolazione europea non esiste, ma resta il problema della trascuratezza nei rapporti sessuali non protetti. Ma questa è una responsabilità che deve essere condivisa". La 'Un Aids' (Joint United Nations Programme on HIV/Aids) ha varato norme riguardanti i diritti umani nei principi di tutela della salute pubblica per migliorare il controllo dell'HIV. "Se l'Europa riconoscesse questi diritti e migliorasse i sistemi di prevenzione, si potrebbe raggiungere un obiettivo molto ambizioso: la fine dell'Aids. Questo è il progetto che è stato proposto nei maggiori istituti sanitari del mondo. Non possiamo lasciare i migranti fuori dalla risoluzione del problema della lotta all'Aids", conclude Del Amo.

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