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Medicina
Alzheimer, nuovo farmaco efficace all’esordio della malattia: è il BAN2401

di Paola Serristori

Un nuovo farmaco, di cui non si era ancora parlato, ha dimostrato nei malati agli esordi di Alzheimer di rimuovere le placche di Amiloide tossica, la principale proteina abnorme A-42, responsabile della morte dei neuroni nel cervello. I volontari hanno riacquistato abilità cognitive già dopo 6 mesi di terapia. I risultati sono stati annunciati ad Alzheimer’s Association International Conference (AAIC 2018), a Chicago. Il dottor Lynn D. Kramer, responsabile della sperimentazione clinica di Neurology Business Group, Eisai Co., ha presentato la conclusione della Fase II BAN2401 (Eisai/Biogen) Study 201 (ClinicalTrials.gov: NCT01767311) efficace nello stadio iniziale dell’Alzheimer (lieve decadimento cognitivo, o lieve demenza, entrambe provocate dal morbo di Alzheimer).

Va premesso che la deposizione di Amiloide non è stata bloccata – l’Alzheimer è una malattia cronica, dunque anche le forme più lievi sono progressive – , ma la sua concentrazione si è ridotta al punto da diventare irrilevante. Il farmaco, somministrato per via indovenosa, ha agito anche sulla seconda proteina coinvolta, tau.

“Lo studio è iniziato nel 2007, sui topi – spiega Kramer ad Affari – e nel 2007 la prima dose è stata testata sull’essere umano. La sperimentazione è cominciata nel 2012 su 800 volontari in settanta siti, tra Europa, Asia, Americhe. Si tratta di un anticorpo monoclonale proto-fibrillare che ha raggiunto le nostre aspettative e, va sottolineato, senza provocare effetti secondari importanti (anormalità/edema ARIA-E inferiore a 10)%. A questo punto non vogliamo prendere decisioni affrettate. Avremo un incontro con le autorità sanitarie statunitensi ed insieme discuteremo il piano di sviluppo della sperimentazione.”

I pazienti soffrivano dei disturbi provocati nello stadio iniziale della demenza, che si manifesta con difficoltà di concentrazione e di soluzione di problemi funzionali, disorientamento nel tempo. Il punteggio al test cognitivo MMSE era tra 22-30.

Lo studio è stato realizzato utilizzando le più avanzate conoscenze nel campo della sperimentazione. Per valutare le prestazioni cognitive dei volontari Kramer e colleghi hanno preferito il metodo di misurazione ADCOMS, di recente adottato anche da Roche, che identifica il 20% o più di miglioramenti rispetto ai tradizionali test.

– Perché questa scelta?

“Volevamo esser in grado di capire subito se i pazienti rispondevano positivamente anche dal punto di vista cognitivo. Gli esami del fluido cerebrospinale (CSF) mostravano la riduzione di Amiloide-42 e di tau, ma bisognava testare l’effetto sulle attività collegate al loro ruolo tossico e volevamo conoscere se il farmaco funziona o no prima della fine di diciotto mesi previsti per lo studio. I risultati sono comunque stati confermati anche dai test convenzionali ADAS-cog e CDR-SB.”

La seconda novità è l’uso di un algoritmo per identificare la dose ottimale da somministrare. Uno dei dibattiti in corso tra la comunità riguarda proprio il fallimento o la continuazione di sperimentazione clinica sia dovuta a dosi di farmaco non adeguate. È il caso di Solanezumab, una delle molecole più promettenti, che ha fallito l’obiettivo della prima sperimentazione, ma sta funzionando a più alto dosaggio nel noto studio DIAN-Tu sulla forma genetica di Alzheimer. La dose di BAN2401 è rimasta identica durante tutta la sperimentazione.

Dunque, su 800 volontari, a 247 è stato somministrato per diciotto mesi, due volte alla settimana, un placebo, e 414 partecipanti sono stati trattati con BAN2401 (ogni dose 10 mg/kg). Chi ha ricevuto la terapia è risultato migliore nelle misurazioni delle funzioni cognitive. Nel cervello la concentrazione di A-42 è diminuita di 70 unità (Centiloid analysis, 74.5 all’inizio del trattamento, 5.5 dopo 18 mesi), il rallentamento del declino cognitivo è stato stimato nel 30% rispetto ai volontari che non hanno ricevuto il farmaco in base alle misure ADCOMS e del 74% con ADAS-cog, 26% su base CDR-SB.

 

 

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