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Medicina
Melanoma, a rischio i giovani ma nuove risposte concrete al rischio recidiva

Il melanoma, il più pericoloso tra i tumori della pelle, colpisce fasce sempre più giovani della popolazione. Secondo le ultime stime AIOM, nel 2019 i casi registrati ammontavano a circa 12.400, di cui 6.700 tra gli uomini e 5.700 tra le donne (4% di tutti i tumori in entrambi i sessi). Una patologia che rappresenta il 9% dei tumori giovanili negli uomini (al secondo posto tra le neoplasie più frequenti, dopo il testicolo) e il 7% nelle donne (terza neoplasia più frequente, dopo mammella e tiroide). Fino a pochi anni fa il melanoma era considerato una neoplasia rara, addirittura rarissima tra gli adolescenti, mentre negli ultimi vent’anni anni l’incidenza è aumentata di oltre il 4% all’anno negli adolescenti di entrambi i sessi. Nel corso della vita si ammala un uomo su 66 e una donna su 85.

“Melanoma: un destino che può cambiare” è stato l’appuntamento promosso da Inrete Relazioni Istituzionali e Comunicazione, con il patrocinio di IMI (Intergruppo Melanoma Italiano) grazie al contributo di Novartis, azienda farmaceutica multinazionale. L’incontro ha fatto il punto sulla patologia e sui progressi della ricerca destinati ad incidere positivamente sulla vita dei pazienti affetti da questa malattia. Il confronto tra il mondo scientifico e istituzionale si è svolto presso la sala multimediale del rettorato La Sapienza, a Roma, per tracciare un ritratto dello stato dell’arte e delle prospettive future alla luce, anche, delle novità più recenti.

Il melanoma è una neoplasia della pelle maligna che può insorgere ex novo o derivare da un neo preesistente sulla cute integra. I nei sono agglomerati di melanociti, le cellule dell’epidermide che producono e accumulano melanina. La sopravvivenza più alta per questo tipo di tumore si registra in Trentino Alto Adige (92%), Piemonte e Veneto (90%). Il Lazio, invece, è la seconda Regione italiana per mortalità maschile (131 decessi - Istat 2016), terza per quella femminile (79 decessi - Istat 2016). Nella regione del Centro Italia l’incidenza della patologia è pari al 21,9% per gli uomini (650 casi ogni 100 mila abitanti) e al 14,5% per le donne (470 diagnosi ogni 100 mila abitanti).

Negli ultimi anni si registra un aumento dell’incidenza della patologia nella fascia d’età 0-45 anni. Per il melanoma individuato in uno stadio precoce, la chirurgia costituisce il trattamento standard ed è associata a una buona prognosi a lungo termine. A cinque anni dalla diagnosi si registra un tasso di sopravvivenza del 98% nei pazienti in stadio I e del 90% di quelli in stadio II. Diverse le cose per lo stadio III, quando il tumore si estende ai linfonodi vicini (circa il 15% delle nuove diagnosi). In questo caso, infatti la patologia presenta rischi di recidiva elevati.

Paolo Marchetti, direttore reparto di Oncologia dell’Ospedale Sant’Andrea e del Policlinico Umberto I di Roma, pone l’accento sui dati: “Il melanoma è un tipo di cancro particolarmente aggressivo che ogni 12 mesi, in Italia, fa registrare 7000 nuovi casi e 1500 decessi. La diagnosi precoce e l’adozione di corretti stili di vita, in particolare con una maggiore attenzione all’esposizione al sole, restano le armi vincenti contro questa patologia”.

La mutazione di alcuni geni, come dimostrato da recenti studi, è responsabile della proliferazione incontrollata delle cellule di melanoma. Fra questi il gene BRAF, che -mutato- produce una proteina anomala la quale, non funzionando più correttamente, invia un segnale errato alla cellula tumorale che si moltiplica in maniera incontrollata. Per questo nei pazienti ad alto rischio (III stadio), gli esperti raccomandano l’esecuzione del test per determinare la mutazionale del gene BRAF attraverso un test di laboratorio, eseguito su un campione di tessuto prelevato tramite biopsia.

“Il melanoma cutaneo -ha spiegato Virginia Ferraresi, membro consiglio direttivo I.M.I., IRCCS- Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Divisione di Oncologia Medica 1- è caratterizzato da un alto numero di mutazioni delle cellule melanocitarie prevalentemente derivanti dall’effetto tumorale dei raggi ultravioletti. La rivoluzione in ambito terapeutico è legata alla identificazione di geni che producono proteine che, a loro volta, veicolano segnali che portano sia alla trasformazione neoplastica sia alla proliferazione e alla sopravvivenza delle cellule tumorali stesse”.

“Come per tutte le patologie, sia tumorali che infiammatorie -dichiara Ketty Peris, presidente SIDeMaST e direttore della Clinica dermatologica, Policlinico Gemelli- è fondamentale, nell’approccio diagnostico-terapeutico alla malattia, lavorare in team multidisciplinare in centri dedicati e di riferimento che rispondano ai requisiti richiesti. Così facendo, infatti, si può garantire una ottimale presa in carico del paziente grazie alla stretta collaborazione fra oncologi e dermatologi, ma anche chirurghi, radioterapisti e anatomopatologi inserendo il paziente in uno specifico percorso di diagnosi e cura”.

A queste caratteristiche della patologia, la ricerca ha risposto con soluzioni legate alla medicina di precisione con farmaci pronti a colpire bersagli specifici, che hanno dimostrato grande efficacia nel contrasto alle recidive. “Questo trattamento adiuvante - come testimonia Monica Forchetta, presidente APaIM (Associazione Pazienti Italia Melanoma)- apre nuovi scenari poiché in grado di prevenire recidive nelle persone affette da melanoma, al III stadio, ovvero ad alto rischio, positivi per la mutazione BRAF  e dopo la completa resezione chirurgica. A incidere sull’impatto psicologico dei pazienti è anche la durata del percorso di cura: 12 mesi. Un aspetto che porta le persone in terapia ad affrontare con maggiore forza e vigore un percorso difficile, ma circoscritto e oggi molto più breve di qualche anno fa”.

Tutt’oggi però una corretta informazione sui rischi che si corrono in seguito a esposizioni precoci e prolungate ai raggi UV deve affiancarsi a un sistema di prevenzione adeguato. Come ha spiegato Angela Ianaro, membro Commissione Affari Sociali Camera dei Deputati, “Il rischio è notevolmente maggiore tra chi fa uso di lampade solari, specie se di età inferiore ai 30 anni. Il nostro ordinamento disciplina l’utilizzo delle lampade abbronzanti, prevedendone il divieto ai minori. Non determina, tuttavia- prosegue la Ianaro- alcuna sanzione nel caso di violazione del divieto stesso. In considerazione del pericolo legato a un loro utilizzo da parte dei minorenni ho presentato un’interpellanza urgente affinché si introducano controlli accurati sul rispetto della normativa vigente e regimi sanzionatori”.

“Altrettanto importante è -come sottolinea il presidente della Commissione Salute della Regione Lazio, Giuseppe Simeone- costruire e implementare la rete per le patologie oncologiche, consentendo a tutti i pazienti della Regione di usufruire di percorsi di diagnosi e terapie ed eventualmente essere indirizzati verso percorsi di trattamenti con farmaci sperimentali”. 

 

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